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"Un romanzetto canaglia", dal titolo originale "Una novelita lumpen, è un breve romanzo dello scrittore cileno Roberto Bolaño, pubblicato in Spagna nel 2002 prima che morisse l'autore e tradotto in italiano nel 2003 dalla casa editrice Sellerio. La narrazione in un certo qual modo è una storiella d'ignoranza, di sbando e delinquenza, dove, fratello e sorella, grazie alla capacità del protagonista che se l'è pensato da scrivere, a seguito della morte dei loro genitori accaduta in un incidente stradale riescono a riprendersi dalla criminalità. La protagonista, Bianca, insieme a suo fratello, per sbarcare il lunario iniziano a svolgere dei lavori poco umili: lei lavora presso una parrucchiera come shampista mentre il fratello appresso una palestra fa il facchino, l'addetto delle pulizie, ecc. In questa palestra il fratello conosce due culturisti, un bolognese e un libico, che a distanza di poco tempo andranno a occupare la stanza dei genitori ormai venuti a mancare, quindi Bianca si trova a mantenere le distanze e ad avere fredde relazioni con i coinquilini. ?scontenti dalle proprie esperienze lavorative il fratello, il bolognese e il libico pianificano di andare a rubare la cassaforte di un attore degli anni cinquanta; l'attore, soprannominato Maciste, viveva in solitudine e oltre a essere rimasto cieco gli anni ormai passati avevano afflosciato il fisico, così che in casa fece allestire una palestra e i tre ragazzi talvolta si recavano per la manutenzione dell'attrezzatura. E, attraverso quest'amicizia di relativo lavoro, il fratello, il bolognese e il libico decidono di presentarci a Bianca; secondo il piano iniziale Bianca avrebbe dovuto trovare la cassaforte ma prostituendosi con una certa regolarità insieme a Maciste inizia uno strano rapporto che manderà all'aria l'idea della rapina. Freestyle Write, Giuseppe Sirugo.
Non riconosco la Roma di questo romanzo, ma riconosco la tristezza e lo smarrimento della protagonista; che sia quella dell'autore stesso? Attraverso le lacrime dell'anima il mondo appare deformato. Questa malinconia stupita è la parte più struggente e bella del romannzetto.
Recensioni
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"Adesso so che la vicinanza non esiste. Qualcuno ha sempre gli occhi chiusi. Uno vede quando l'altro non vede. L'altro vede quando uno non vede". Una ragazza di Roma, dopo aver perso i genitori in un incidente d'auto, subisce uno strano mutamento della percezione: è sempre giorno per lei. Vede solo "sole e luce ed esplosione di finestre". Non esiste più il buio, sostituito da una luce che acceca, e che elimina il tempo annullando i passaggi dal giorno alla notte. Nel corso del libro la ragazza si prostituisce con un cieco, ex attore di film mitologici. Il suo personaggio era Maciste. Ora rimane solo il suo corpo "enorme e bianco e simile a un frigorifero rotto". Il gigante cieco volge gli occhi verso di lei come se la vedesse, le chiede se è nuda.
È tutto un disincontro fra ciechi questa piccola storia. Anche i personaggi che vedono, e che per lo più passano il tempo guardando la televisione, telequiz e videocassette, film porno, ma anche horror, "quelli di orrore psicologico, quelli di orrore poliziesco, quelli di orrore bellico", in realtà non vedono nulla. O vedono qualcosa che potrebbe anche essere diverso da come appare, o che risulta diverso da come lo pensavano. L'auto su cui sono morti i genitori della ragazza era gialla, ma poi, dopo l'incidente, non è di nessun colore. Due fratelli in realtà risultano non essere fratelli, uno è libico, l'altro bolognese. Ma tutti li ritengono fratelli. La protagonista non può fare a meno di pensare "a tutte le cose dall'apparenza strana che si presentano quando meno te lo aspetti e che in realtà sono sempre sotterfugi che nascondono qualcosa di diverso, un'altra cosa". La realtà è impossibile afferrarla, i sentimenti sono ingannevoli o inutili, tutti sembrano, o si sentono, sul punto di diventare pazzi, non c'è niente che si possa dire con certezza dopo la catastrofe.
Questo piccolo romanzo, scritto da Bolaño come operina minore mentre attendeva a 2666, la sua grande opera da poco uscita postuma in Spagna, si presenta con un impianto insolitamente tradizionale. Una sola voce narrante, un solo punto di vista, un ordine cronologico preciso. Eppure lo smarrimento che crea è quello a cui Bolaño ha abituato i suoi lettori. La collocazione romana deriva da un progetto della Random House Mondadori: inviare un certo numero di scrittori in diverse capitali del mondo affinché vi ambientassero un romanzo. Ne è uscita una collanina chiamata "Año 0", cui hanno partecipato Rodrigo Fresán, Santiago Gamboa, Rodrigo Rey Rosa. La Roma di Bolaño è una Roma senza connotati. Una Roma di non luoghi e videoteche, dove il presente è un tunnel di giorni e sere davanti alla tivù. Dove il passato è la gloria di paccottiglia di un attore di film di serie B che era stato amico di calciatori di serie A e attrici di serie B. Dove la cosa più buona da mangiare sono panini preparati con salse che li rendono simili a quelli degli aeroporti (ma Bianca, la protagonista, forse non è mai stata in un aeroporto). Dove una casa in stile fascista con i pavimenti di marmo appare simile a un castello, anche se nessuno ha più fatto le pulizie da anni perché il padrone è cieco, e si aggira tutto solo nella sua palestra personale, davanti a specchi dove non può vedersi, o nella sua biblioteca, fra scaffali senza libri.
Non è difficile ravvisare in questa storia lo stato d'animo di uno scrittore che in quel tempo stava attraversando l'accecante orrore di una vicenda reale eppure inafferrabile, quella delle donne uccise a Ciudad Juárez, che occupa la parte centrale di 2666. "E mi lasciai fare l'amore dal mio amante o dal mio capo, per me era lo stesso, senza dire niente e senza sentire niente. Prima che fosse l'alba, mentre rincasavo in taxi, mi sembrò che stavo per morire". Così conclude uno dei capitoli la voce di Bianca, la ragazza che piange in un mondo dove il buio non esiste.
Maria Nicola
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