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Se on the road ci finisci perché un feroce trafficante di droga ti sta dando la caccia e tu non stai cercando “l’assoluto” ma solo la pelle salva e un po’ d’umanità per scaldarti il cuore, se il tuo sense of humour ti consente, mentre dormi all’addiaccio e rimugini sugli errori commessi, di raccontare un’America balorda e grandiosa al tempo stesso, allora sei Peter Kaldheim e hai scritto questo bellissimo libro.
«Il vento idiota è un memoir irresistibile. La scrittura di Kaldheim raccoglie il lascito di Orwell, Kerouac e Fred Exley». - Jay McInerney
«Avevo trentasette anni, ero disoccupato e senza il becco di un quattrino. Come se non bastasse, non avevo una casa – se si esclude l’armadietto a pagamento alla Penn Station nel quale tenevo vestiti e articoli da bagno. In breve, la mia vita era diventata qualcosa di cui era impossibile vantarsi, alla quale si poteva soltanto sopravvivere, e la colpa era soltanto mia e dei miei complici: alcol, cocaina e una vena radicata di quella che il mio vecchio professore di filosofia greca avrebbe definito akrasia – una debolezza della volontà che porta ad agire andando contro ogni buonsenso. Se il greco non fa per voi, datele il nome che le ha dato Bob Dylan: Idiot Wind, vento idiota. Era così che mi ero rassegnato a chiamarlo io, e da quasi dodici anni quel vento infuriava nella mia vita facendola a pezzi. L’avevo visto portarmi via tutto ciò che avrebbe dovuto contare qualcosa. Il mio matrimonio. La mia carriera. Il rispetto dei miei genitori e dei miei amici. Persino un posto dove dormire la notte. Tutto spazzato via. Sparito assieme al vento idiota».
Trent’anni dopo Jack Kerouac, l’autore di questo divertentissimo (ma assai tosto) memoir ne segue le tracce, spostandosi in autostop e dormendo in alloggi di fortuna, rifugi per senzatetto e sotto i cavalcavia. Lungo la strada incontra un’umanità derelitta fatta di tossici e barboni, hippie e reduci del Vietnam e anime perse capaci di inaspettato altruismo. Ci lascia così un quadro di un’America che non finisce mai di stupirci.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Partenza assai tossica, con immersione subitanea e totale 'on the road'. New York, 1987. Sesso, coca, torcibudella e languido blues: «Poi mi avvicinai al juke-box, ci infilai un quarto di dollaro e schiacciare il pulsante per far partire una rarità di Leon Russell del 1972, intitolata 'Slipping into Christmas'. Era un pezzo che Ace inseriva nella rotazione quando si avvicinavano le feste di Natale: il lamento di un perdente, molto blues, che avevo sempre considerato la colonna sonora ideale per tagliarsi le vene sotto il vischio.» Bella atmosfera natalizia: una valida alternativa a 'Last Christmas' di George Michael... Peter Kaldheim, ragazzo del '49, ci porta a spasso per l'America perduta di Bryson, con in più un pizzico di disperazione alla hobo. Insomma un bel mix, per noi fra boomers e generazione X, che quelle strade (anche con le mucose nasali intatte), le abbiamo percorse. Io ci sono andata nell'88. Per un pelo non ho beccato Pete il Cappellaio a fare l'autostop. L'avrei portato right straight to The City by the Bay. «Stupido vento che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti che soffia tra le lettere che ci siamo scritti Stupido vento che soffia tra la polvere sui nostri scaffali Siamo degli idioti, ragazza E' un miracolo che riusciamo ancora a nutrirci da soli.» Idiot Wind, Bob Dylan - 1975
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