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Assieme alla “Mite” di Dostoevskij, uno dei primi e insuperati monologhi della letteratura di tutti i tempi! Introspezione, esattezza nel racconto, grande ritmo e tecnica stilistica. Capolavoro
Quando si ha tanta voglia di incontrare quei caratteri instabili fino alle nevrosi più comiche, quegli indecisi conclamati eternamente avvitati su se stessi, quei complessati sociali che temono la loro ombra in ogni angolo in cui si trovano, quei teneri respinti in amore che vagano senza meta nei meandri più inutilmente cervellotici, quei sensibili veri, animi sfiorati da impazienze e dolori non semplici, quando si vuole sfogliare in un solo autore questo variopinto e meraviglioso catalogo, quel nome è Arthur Schnitzler. Medico stimatissimo ed aforista sorprendente, cuore e mente di una Finis Austriae agli ultimi sussulti, scrittore di novelle prodigiose e piece teatrali di indimenticabile bellezza (Girotondo, Al pappagallo verde, per ricordarne due davvero senza tempo), uno dei fari più luminosi di quel grande oceano di talenti che prende il nome di Mitteleuropa. Qui si frana in un racconto più che tragicomico, la necessità di un suicidio, l'inevitabile scelta di morire in seguito a uno sberleffo da nulla subito a teatro, nella ressa davanti al guardaroba, prima di uscire. Gustl è irremovibile, ha già deciso, ma in un geniale intermezzo delle sue bizzarrie balbettate dirà: "Ah..ho l'impressione che il morire istupidisce". Rivede la sua vita impossibile da riallineare dopo quell'onta, rivede la famiglia, i suoi commilitoni, le amanti smarrite e desiderate ancora, i suoi debiti sospesi, le faccende più strane, risolvendosi a lasciare tutto in una notte al Prater, nelle tormentate ore fra il dormire e il risveglio di ognuno. L'imprevisto lo aspetterà nel finale, più sorprendente e risibile di ogni sua sgangherata norma interiore, più macabro e insieme ridicolo di ogni illogica logica a comprendere la vita e se stessi.
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