Proprio come Don Chisciotte. Che si ritrova a compiere il suo secondo giro di avventure consapevole del fatto che il mondo lo conosce già, avendo letto delle sue imprese. I rapporti sono dunque mediati dal libro stesso, e dall'inganno di Avellaneda, l'autore dell'apocrifo seguito delle avventure di Don Chisciotte. Il falso finisce per influenzare in modo decisivo le ("vere") avventure stesse del cavaliere: Don Chisciotte vorrà smentire Avellaneda, e Cervantes lo farà andare a Barcellona, anziché a Saragozza, proprio per dimostrare la sua originalità. La"seconda vita" di Christiane F. è tra i libri più attesi da una generazione, quella che ha letto Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino subito (tradotto in Italia nel 1981) o a qualche anno di distanza dalla pubblicazione del "racconto-verità" della giovane "star del buco" della Germania Ovest. Un libro scritto per chi ha dapprima letto di Christiane, quasi di nascosto, perché troppo giovane (al pari di Christiane) per assorbirne l'esperienza. Per chi ha cercato di rintracciarla su internet, negli ultimi anni, ne ha parlato con gli amici allo sfinimento, con quei sensi di colpa che derivano dall'aver visto eroismo, con occhi donchisciotteschi, nella banalità del male. Un libro, quest'ultimo, scritto contro quei lettori, proprio come il primo, che colse l'opinione pubblica impreparata, e dunque disposta a farne un mito. Il mito dell'eroe tossico, dal quale non riescono, se non controvoglia, a liberarsi. Il "paradigma Trainspotting", (cfr. "L'Indice"2012, n. 1), è quasi irresistibile, anche perché coinvolge inevitabilmente il lettore, chiamato a rivedere le stelle, scrivevamo, dopo aver solcato il proibito con l'autore. Christiane F. è ovviamente l'origine di quel paradigma, di quel tentativo di descrivere la società occidentale a partire dal caso-limite, dall'abnorme, dalla sua eccezionalità, e al contempo dalla tipicità pressoché assoluta dell'eccezionalità stessa. Christiane F. è il mito dei miti, l'origine delle narrazioni successive; una storia che si fa racconto, troppo vero, però, per essere pubblicato da un editore. Ci vorrà "Stern", il settimanale tedesco per il quale lavoravano Horst Rieck e Kai Hermann, per consegnare al mondo il contenuto delle interviste rilasciate da Christiane ai due redattori. Un successo planetario immediato. Tanto da rendere subito possibile la pellicola di Bernd Eichinger e Uli Edel, con Christiane stessa a presenziare alle prime, anche negli States. È nata la "star del buco": ed è qui che comincia la "seconda storia" di Christiane, ben consapevole che la prima, oggi, è appunto un racconto, e solo in quanto "racconto-verità" torna a essere una "vera storia". È ormai mito, come quello di Don Chisciotte; e come Don Chisciotte, agli occhi del mondo, Christiane diventa un personaggio, diventa il libro stesso ("il mio libro", come Christiane stessa lo chiama). La "seconda storia" della quale il lettore può invaghirsi è allora innanzitutto quella della sua omonima, Christiane F.; anzi, nella memoria collettiva, è quella di Natja Brunckhorst, la ragazzina che interpretò Christiane in Christiane F. D'altronde, ed è davvero paradossale, quando si prende in mano la "seconda vita" di Christiane, si viene dapprima a contatto con Natja, il cui viso campeggia sulla copertina del libro (le fotografie di Christiane giungono solo al centro del volume). Una "seconda vita", appunto: una vita non pienamente sua, una vita parallela. Una vita affascinante, che porta Christiane a fidanzarsi con il bassista del gruppo industrial (oggi acclamato, allora in formazione) degli Einstürzende Neubauten, quando viveva ad Amburgo, in un frizzante ambiente di cultura alternativa. Una vita che la conduce a viaggiare sul jet privato dei Rolling Stones, insieme con l'idolo David Bowie; e a vivere dai Keel, editori svizzeri ai tempi molto noti, a Zurigo, incontrando artisti e intellettuali di fama mondiale (Christiane dialoga con Fellini, George Simenon, Patricia Highsmith e Patrick Süskind, tra gli altri). Eppure, mentre il lettore fantastica sull'affascinante mondo che ha improvvisamente aperto le sue porte alla star del buco, Christiane conduce la "sua" vita. Abbandona a poco a poco lo star system, passa dal Platzspitz di Zurigo, finisce in galera, approda in Grecia, coltiva amori che non dureranno, continua con i buchi, per poi tornare in Germania. Qui darà alla luce un figlio, che poi le sarà tolto (Christiane tenterà inutilmente di trattenerlo) e affidato a un'altra famiglia, e che oggi può però vedere. Ma ciò su cui si può riflettere qui, lasciando invece al lettore il piacere di rituffarsi, a molti anni di distanza, nella Weltanschauung e nello stile di Christiane (di fatto intatti), è la presa di distanza dal mito dell'eroe tossico. Christiane è ancora vittima, certo, e resta tale: il libro si apre con una descrizione della vita con l'epatite, e si chiude con l'amara constatazione di essere "un passato senza futuro", "una ragazza dello zoo di Berlino". Che però vuole appunto "prendere le distanze da tutta questa storia di Christiane F.". Cioè, quella di Christiane F. è una storia, anzi la storia: e se è tuttora difficile, in realtà, guardare alla giovane Christiane come alla star del buco che diventerà suo malgrado, appare ben più facile immaginare che l'ex ragazza dello zoo di Berlino si sarebbe lasciata andare a un tipico autocompiacimento. Ciò che per certi versi sembrerebbe suggerire il racconto di come Christiane sia arrivata a concedere a Sonja Vukovic e non ad altri l'intervista (la prima giornalista che l'abbia trattata con i dovuti rispetto e circospezione) e quella frase, "Ce l'ho fatta. A modo mio. Nemmeno io ci avrei creduto", cui Rizzoli dà risalto in copertina. In realtà, Christiane ci presenta una persona al di fuori di quella storia, che a differenza di Don Chisciotte, non ha nessuna intenzione di recitare ancora. Certo, anche lei vuole smentire le novelle narrate di volta in volta dai media (Christiane F. è tornata nel giro, ripetono a scadenze regolari i quotidiani tedeschi). Ma senza alcun eroismo. E così bolla d'idiozia chi la riconosce per strada e le chiede che fine abbia fatto Detlef, il suo compagno nella sua prima vita (qualcuno sa forse, a quarant'anni di distanza, che fine abbia fatto il suo primo amore di ragazzina?, si chiede Christiane). Non indulge in particolari, non racconta quasi più nulla dei suoi buchi. Ma racconta come ha vissuto: ricorda di non aver quasi mai smesso con l'eroina, o col metadone. Smentisce chi ha creduto alla bella favola di chiusura accennata al termine del primo libro, quando Christiane sembra aver abbandonato le precedenti abitudini, nel rifugio di campagna. Dice di non aver troncato nemmeno con la prostituzione, ma ne parla con distacco. Smentisce, insomma, la favola negativa di Christiane F.: non c'è caduta e non c'è rinascita. I problemi sono sempre gli stessi, ma non quelli che la favola c'impone d'immaginare. Al primo buco (alla prima sniffata) si ricasca nell'abisso? No, scrive Christiane. Il padre è causa di tutti i mali? No, secondo la stessa Christiane. Che, dopo averlo difeso (per quanto possibile), si pente persino di averci indotto a ritenerlo. Di David Bowie, diavolo e insieme speranza di redenzione nel primo libro, si racconta qui l'incapacità di comunicare, e la paura del volo. Soprattutto, eroina Christiane F. lo è poi davvero? È quella ragazzina che, leggendo il primo libro, abbiamo considerato capace di guardare al mondo con occhi loro malgrado adulti? Con l'incredibile maturità che solo un'esperienza di eroismo tossico può consegnare a un essere di tredici anni? No. Christiane smentisce subito chi la considerava ormai matura per un'esperienza di vita radicalmente diversa. E si dimostra ragazzina alle prese con la celebrità, senza sapere come affrontarla; e una donna che da quella celebrità non può trarre che ulteriori problemi. Il penultimo capitolo è in fondo la chiave del libro: Christiane spiega di essere ormai ritenuta matta. Perché, e le racconta senza passione, cede a paranoie, per altro banali: quella di subire il furto del passaporto, o il maltrattamento di ciascuno dei mille cani di cui si è circondata, da parte ovviamente di agenti invisibili (non solo ai più, anche a se stessa). E così Christiane torna, per quanto paradossalmente, nella normalità. Un terzo libro non sarà necessario: è forse, finalmente, avvenuta la nostra liberazione dal mito dell'eroe tossico. Per questo, dopo tanti anni, è doveroso un secondo ringraziamento. Mario Cedrini
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