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Chi scrive di terrorismo essendone stato protagonista dovrebbe prendere più a cuore, al di là dei proclami, la dimensione tragica della esperienza di cui furono protagonisti. Testimoniare la propria storia senza perdere quella saccenza che portò tanti giovani a macchiarsi di crimini orribili non è un punto di arrivo intellettuale che merita di proporsi all'opinione pubblica. La storia di Segio, la sua avventura umana, sarebbe molto interessante se fosee proposta con l'umiltà di chi ha sbagliato e avesse a cuore il fatto che per effetto dei suoi errori molti giovani che lo seguirono mitizzandone le doti "militari" (non politiche) sono andati in prigione o sono morti e altri innocenti hanno versato sangue o non ci sono più. Spiace quindi ritrovare nei libri di segio una saccenza nel (ri)proporsi come il politico acuto che non è mai stato. La sua non è una storia di vinti (lasciando intendere che si aveva ragione ma si è riusciti a cogliere l'obiettivo), come egli ama pensare, ma una storia di errori umani e fallimenti esistenziali. L'errore, il fallimento, il dolore sono grandi occasioni per riflettere sulla vita ed in questa dimensione la vicenda di Segio sarebbe, come tutte le personalità che hanno inciso nel bene o nel male nella storia, interesante da leggere. La riproposizione di sè come detentore di verità rende invece la lettura pesante e perfino irritante. Perchè Segio si ostina a voler insegnare qualcosa al mondo? Non sono tra quelli che pensano che egli debba tacere per rispetto delle vittime ma penso che non ci si possa riproporre ad una dimensione pubblica se non vestendo i panni umili di chi dal mondo ha qualcosa da apprendere o ha da testimoniare anzitutto i propri limiti umani e storici che tanto dolore hanno causato. Per rispetto di chi non c'è più e per rispetto di chi ancora soffre per quelle scelte sciagurate.
Sono assolutamente d'accordo con Rodolfo, che, ha scritto esattamente quello che penso. Mi limito quindi al voto
Questo è senz'altro un libro importante per tre motivi: la tempra di autentico spirito combattente dell'autore, milanese di origine istriana, che traspare dalla sua intera vicenda biografica; la testimonianza del conflitto tra il movimentismo di Prima Linea e il militarismo- stalinismo delle Br con tutti i riflessi che ha avuto negli anni di piombo, nella fase carceraria e nella successiva memorialistica sia giornalistica che dei protagonisti; il valore documentario sulla evoluzione della legislazione "emergenziale" tra dissociazione (l'opzione di Segio e di Pl con le cosiddette aree omogenee) e pentitismo (l'opzione dello Stato con tutte le conseguenze di civiltà giuridica che questa politica legislativa ha comportato in generale). A questo si aggiunge una ricca appendice di dati e bibliografia riguardanti l'intera vicenda della lotta armata in Italia. E' un libro sorprendente per la freschezza narrativa e per la sincerità del percorso intellettuale e del dramma che vi è descritto. Una ottima lettura secondo me consigliabile soprattutto ai più giovani come introduzione alla storia di quegli anni, fuori dalle parole d'ordine della pubblicistica corrente.
Recensioni
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Segio, già leader di Prima linea, offre di nuovo il proprio contributo alla ricostruzione degli anni segnati dalla lotta armata. Il libro pone tuttavia il lettore di fronte al solito dilemma. Anche Segio, infatti, non si sottrae al sospetto di voler continuare la lotta che oggi pare più che altro un regolamento di conti , sia pure mediante strumenti diversi: innanzitutto contro le Brigate rosse, nei confronti delle quali è orgoglioso di rivendicare la propria "differenza"; in secondo luogo contro i pentiti e il pentitismo, accusati di essersi semplicemente "venduti" senza aver intrapreso alcun percorso di ripensamento; infine, naturalmente, contro una parte considerevole della magistratura e delle forze di polizia, nei riguardi delle quali, ancora oggi, sembra pesare l'infamante accusa di "servi del potere". Allo stesso modo, con la solita girandola di cose dette e non dette, di omissioni, di mezze verità, e con il consueto rancore, Segio non dismette neppure i panni del Robin Hood tradito e forse un po' incompreso: ecco allora che la propria scelta nei confronti della violenza e della lotta armata è spiegata in termini di risposta alla violenza dello stato, nel quadro più generale del mito resistenziale e del progetto di "riprendere la rivoluzione" interrotta dopo il 1945. In otto lunghi capitoli, Segio ripercorre dunque la storia della propria militanza a partire dall'esperienza di Lotta continua nei primi anni settanta fino all'assalto al carcere di Rovigo nel 1982 e al conclusivo riflusso della lotta armata. Sono soprattutto gli ultimi tre capitoli, dedicati agli anni della carcerazione e delle lotte tra pentiti, dissociati e irriducibili, a offrire materia di approfondimento, soprattutto là dove l'autore riflette sulla differenza tra "sconfitta militare" e "superamento politico" del terrorismo.
Federico Trocini
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