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Tanti anni fa vidi il film omonimo, tratto da questo romanzo e girato dai fratelli Taviani e ne rimasi profondamente colpito. Decisi così, nel 2016, di acquistare quest'opera di Antonia Arslan. Non lo lessi subito, sapevo che si trattava di un libro troppo importante e volevo dedicargli la dovuta attenzione e quindi è rimasto nella mia libreria sino a qualche settimana fa, quando finalmente ho sentito che era il momento giusto per dedicarmici. Lo faccio spesso: acquisto un libro per poi non leggerlo subito, lasciandolo nella libreria, nell'attesa che giunga il suo tempo. Perché ne sono convinto, ogni libro ha il suo momento; passano spesso giorni, settimane, mesi o anni, ma alla fine un'ispirazione, una particolare sensibilità o interesse, mi portano a ritrovare libri apparentemente dimenticati. E così dopo sei anni mi sono ritrovato tra le mani quest'opera. E' un romanzo che consiglio a tutti di leggere perché ha il grande merito di aver portato a conoscenza del grande pubblico le terribili pagine di eventi storici che dai testi scolastici non vengono quasi mai menzionati. Io non conoscevo la tragedia patita dal popolo armeno ed è grazie al romanzo della Arslan e al film dei Taviani che sono venuto a conoscenza di queste pagine drammatiche di storia recente, pagine di sangue, di odio e persecuzione ai danni della gente armena. Purtroppo devo dire che non si tratta, dal punto di vista specificamente letterario, di un capolavoro. Infatti, la scrittura non è elegante, la prosa scorre a volte pesantemente e la lettura mi è parsa poco scorrevole. Nonostante tutti questi limiti, che ne fanno un libro letterariamente modesto, è un libro per cui essere grati all'autrice e che va assolutamente letto. Segnalo che questa edizione della Rizzoli manca di una vera introduzione, le note sono poche e tante parole armene o personaggi storici menzionati ho dovuto cercarli da me per comprendere meglio il racconto.
Ne "La masseria delle allodole" l'autrice, di origini armene, ricostruisce la storia della sua famiglia, raccontatale dal nonno trasferitosi in Italia all'età di 13 anni. Gli eventi raccontati occupano un arco temporale che va dalla seconda metà del XIX secolo fino ai rastrellamenti e le deportazioni del popolo armeno avvenuto durante la Prima Guerra mondiale a opera del governo turco. Conoscere i dettagli di un evento così tragico e di cui si parla ancora troppo poco, delle violenze subite da un popolo mite e senza patria, e pensare che ancora oggi esistono situazioni del genere mi ha messo l'amaro in bocca e la pesantezza nel cuore. Personalmente non ho amato molto lo stile dell'autrice, a mio parere dispersivo e a tratti ampolloso. Gli eventi sono presentati in maniera a volte sbrigativa, non suddivisi da capitoli. Se il romanzo fosse stato scritto in maniera diversa, avrei dato un punteggio pieno.
Di libri così se ne son letti tanti ma non tutti ti toccano profondamente il cuore. Questo, pur apprezzabile e nel suo genere capace di darti il senso del genocidio armeno nella sua drammaticità, sembra narrato un po' da distante e non da dentro la tragedia e quindi tocca appena le corde dell'uomo
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