Da molto tempo a questa parte, nel panorama della critica letteraria italiana, non apparivano saggi della rilevanza teorica di quelli di Guido Mazzoni: mi riferisco in particolare, oltre al libro qui in oggetto, frutto di oltre tre lustri di ricerche, al precedente e complementare volume, Sulla poesia moderna (2005). In un mondo, quale quello della nostra attuale saggistica letteraria, dominato dall'iperspecialismo parcellizzante, Mazzoni trova il coraggio di osare, di affrontare temi ambiziosi e di ampissimo raggio, senza però rinunciare al rigore analitico. Volendo semplificare, si potrebbe dire che i saggi di Mazzoni rappresentano uno dei rarissimi esempi italiani di una "critica in grande stile", che, da noi, sembrava essere definitivamente tramontata. E ciò rimane un dato difficilmente contestabile, indipendentemente dal fatto che si condividano o meno le tesi che Mazzoni propone. Fin dal titolo, questo volume intende esplicitamente riallacciarsi al György Lukács di Die Theorie des Romans, uscito quasi un secolo fa, nel 1916; il filosofo ungherese, del resto, non è che uno dei moltissimi pensatori, critici e teorici della letteratura (da Foucault a Wittgenstein, da Auerbach a Bachtin, da Heidegger a Althusser) cui Mazzoni si riferisce per fondare la sua prospettiva teorica. Tuttavia, il modello più decisivo è un filosofo che oggi, dopo un periodo di relativa latenza, sta tornando di grande d'attualità: Hegel, recepito anche attraverso il filtro della magistrale interpretazione di Kojève. Il saggio di Mazzoni si richiama dichiaratamente all'estetica hegeliana, ricollegando il carattere del genere-romanzo alla fase storica del "mondo della prosa" e, più in generale, situandone la genesi e lo sviluppo nell'ambito di un processo storico di lungo periodo. Ma a quale definizione di romanzo Mazzoni fa riferimento? "Se il primo tratto che definisce il romanzo nell'accezione moderna del termine è la forma narrativa, il secondo è la capacità di raccontare qualsiasi storia in qualsiasi modo". A poter raccontare "qualsiasi cosa in qualsiasi modo" gli scrittori occidentali giungeranno però molto lentamente: in Teoria del romanzo si prende le mosse dall'antichità greca, caratterizzata dal conflitto tra mimesi e sapere concettuale che sboccherà nella scomunica della prima, sancita nella Repubblica di Platone e sostanzialmente condivisa dal pensiero cristiano. Altro ostacolo all'affermarsi dell'"anarchia mimetica" romanzesca fu il sistema classico dei generi e degli stili: sebbene già a metà del Cinquecento si cominci a utilizzare la categoria romanzo in un'accezione ampia, solo a partire dal XIX secolo, cioè dopo la svolta estetica della Romantik, questa forma letteraria inizia ad acquistare il suo statuto odierno. Dopodiché Mazzoni propone una periodizzazione scandita da tre fasi: nella prima, che si snoda dal 1800 al 1850, anno della morte di Balzac, si forma il paradigma del romanzo ottocentesco, messo in crisi (nella seconda fase, che si situa tra il 1850 e il 1900) da autori come Flaubert e Dostoevskij, fino all'avvento del modernismo, che caratterizza la terza fase (1900-1940), segnata dai capolavori di Joyce, Musil, Proust, Kafka, Broch, Woolf. La quarta stagione, che è quella che stiamo vivendo, pur non priva di innovazioni rilevanti, è, secondo Mazzoni, meno rivoluzionaria della precedente, anche perché si colloca in un periodo in cui il nuovo rappresenta sempre meno un valore intrinseco (si pensi a romanzi come Vita e destino di Grossman, o, per quanto riguarda l'Italia, al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e alla Storia di Morante, che oggi quasi più nessuno, a differenza di ciò che accadde in passato, accusa di arretratezza). Queste, dunque, le fasi che il romanzo ha attraversato per diventare la forma d'arte egemone della modernità. Ma al di là degli schemi storici, c'è qualcos'altro che ha decretato la straordinaria fortuna di questo genere letterario: esso rappresenta forse la massima approssimazione letteraria alla vita degli individui comuni. C'è un passo, tratto da uno scritto di David Herbert Lawrence risalente al 1922, a cui Mazzoni dà un rilievo fondamentale, citandolo sia all'inizio sia alla fine del suo libro: "Nulla è importante, se non la vita (
). Per questa ragione sono un romanziere. Ed essendo un romanziere, mi considero superiore al santo, allo scienziato, al filosofo e al poeta che sono tutti grandi esperti di parti diverse dell'uomo vivente, ma non colgono mai l'intero" (anche a questo proposito vien da pensare a Hegel e al suo celebre assioma "il vero è l'intero"). Tutto lo scavo storico-teorico condotto da Mazzoni non perde mai di vista la "vita"ed è coerentemente improntato alla Lebenphilosophie, nell'accezione più intrinseca del termine. Alla sua Teoria Mazzoni avrebbe potuto certamente applicare il memorabile esergo,mutuato da Adorno, già posto in limine a Sulla poesia moderna: "Le forme dell'arte registrano la storia degli uomini con più esattezza dei documenti". Raoul Bruni
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