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semplicemente patetico. La crisi e' nata a causa della bolla sul mercato immobiliare...peccato che ( si e' recentemente 'scoperto') dieci anni proprio Krugman scrisse una serie di articoli con cui spingeva i politici a creare una bolla immobiliare per uscire dalla crisi post NASDAQ - cercare su Google per credere. Ora ci viene a dire che la bolla immobiliare e' stata una follia... Se ci fosse una procedura per togliere i nobel per l'economia non vi sarebbe caso migliore di questo. Ciliegina sulla torta : secondo Krugman, per uscire dalla crisi del debito dovremmo indebitarci di piu', con stimoli keynesiani.. Il Giappone lo fa da 20 anni ed e' sempre rimasto in stagnazione, con un debito pubblico stratosferico. Gli USA 'stimolano' l'economia da 4 anni e sono arrivati a 16 trilioni di debito...ma per il nostro Paul non basta, gli USA dovrebbero spendere di piu'... Ai fans di Krugman consiglio vivamente di leggere la storia del 'vetro rotto' di Bastiat, oggi piu' valida che mai.
Libro divulgativo SPLENDIDO, pensato per il lettore medio, senza tecnicismi, narra con la scorrevolezza di un romanzo. Si parte dal 1/7/97 (HongKong alla Cina e vigilia del crack delle econ asiatiche). Cap.1-4: situazione mondiale, come ci si è arrivati, effetti della glob.ne su una econ matura; ascesa delle 4 tigri con fondamentali negativi (su la produzione, non la produttività), produzione totale dei fattori e previsione delle crisi (Urss'60 e SEAsia'94); crisi di Mex'95, chiusura delle linee di credito ed effetto domino (Arg), soluzione estemporanea ed errori di interpretazione; ascesa del Jap, trappola della liquidità e strategia inflazionistica di uscita con ottima sintesi/analisi di motivi e contesto. Con il ritorno all'analisi del presente il libro ottimo divulgativo diventa un romanzo (Cap.5-6). Ipersviluppo della Thai, crisi (spiegaz chiara/semplice dei meccanismi econ/finanziari) con cfr tra le scelte attuate e quelle che invece sarebbero servite. Aspetti politici: crisi di fiducia dei mercati, aspettative autoavveranti, comportamenti politicamente richiesti che escludono soluzioni tecnicamente adeguate, problemi dei governi (orgoglio e lentezza), svalutazione e conseguenze, FMI/BM non flessibili secondo contesto (focus solo su deficit e tassi), i 3 obj raggiungibili solo a 2 per volta (libertà in pol.monetaria, tassi stabili, liberalizz scambi internaz.li) e gli effetti della scelta di esclusione; p.144-5 ci si ritrova descritto quello che Uk(2009) e Us(2010-11) hanno fatto con il del tasso di cambio, lasciando ai mercati la svalutazione della valuta. I Cap.7-8 ostici: hedge foudns, modalità di azione (Soros), funzionamento, ruolo nelle crisi Uk92, e Malesia-HongK-Russia98. Torna scorrevole nel conclusivo Cap.9, dove l'autore dà le sue risposte ed idee. Vista la crisi (2008-11) e le soluzioni finora attuate senza risultati (valutate dall'autore ma indicate come inadeguate), viene naturale pensare che Krugman 15 anni fa ci vide giusto.
Un libro molto interessante. L'autore ci fornisce un quadro chiaro della crisi che ci ha colpito l'anno scorso... Molto bello
Recensioni
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Questo libro è un trattato analitico sulla crisi economica che sta investendo tutto il mondo, dagli Stati Uniti all'Europa, fino a Cina, India e Giappone. Paul Krugman indaga sulle cause di questa catastrofe e su come possano riprendersi i Paesi colpiti. Lo fa attraverso un linguaggio chiaro, utilizzando storielle divulgative, come quella dei successi e insuccessi di una cooperativa di baby-sitter, esempi che tornano utili come strumenti per comprendere i problemi, assolutamente prevedibili, dell'economia reale.
La crisi di oggi scrive Krugman ha radici antiche: somiglia a quella degli anni Trenta, ma soprattutto è stata anticipata vent'anni fa, nel 1989, quando prima l'America Latina, poi il Giappone e le economie asiatiche, conobbero fallimenti di grosse proporzioni. Erano presagi ai quali dare attenzione, perché la seconda economia del mondo, quella nipponica, una volta campione di crescita nel mondo industrializzato, per tutti gli anni Novanta ha conosciuto una fase di recessione decennale che l'ha portata dalla prosperità alla crisi. Anche lì, come negli Stati Uniti lo scorso settembre 2008, un regime finanziario senza regole e poco trasparente, favorito da banche senza scrupoli, aveva condotto alla creazione di una bolla speculativa enorme. Presto o tardi, sostiene il Premio Nobel per l'Economia, la bolla finanziaria doveva scoppiare e, una volta successo, ciò determinò un calo negli investimenti, nei consumi e nella domanda complessiva. La risposta nipponica alla crisi si rifece alla ricetta keynesiana: il governo finanziò lavori e opere pubbliche per creare occupazione e riattiavare i consumi. E questa sembra essere la stessa strada intrapresa oggi dalla nuova amministrazione Usa, guidata da Barack Obama. Un'altra possibile risposta sarebbe stata allora, e lo è anche oggi, quella di rifornire di denaro le banche. Oppure quella di produrre un po' d'inflazione, vale a dire alzare l'aspettativa d'inflazione per aumentare i consumi e dissuadere la gente dall'accumulo eccessivo di risparmi. Esiste una scuola di pensiero che ritiene che un moderato innalzamento dei prezzi può essere utile, se si vuole combattere la recessione.
Gli speculatori, attraverso fondi d'investimento e hedge funds, come nel 1998 conducevano operazioni a termine su titoli rischiosi e non liquidabili. La gente che prestava loro il denaro non si chiedeva se la società avesse veramente abbastanza capitale da poter esser considerata sicura. è così che il mercato ha perso la bussola. Due delle cinque maggiori banche d'investimento sono crollate, perché sostiene Krugman non erano mai state regolamentate. Da lì l'implosione della bolla immobiliare, le corse agli sportelli, la scarsa liquidità, le crisi valutarie, hanno riproposto lo scenario dei precedenti crac economici. Ecco come siamo arrivati al ritorno dell'economia della depressione, al rischio che i liberi mercati non sopravvivano alla scarsità della domanda. In questo caso il protezionismo, secondo Krugman, rappresenta una soluzione sbagliata, perché alla lunga affosserebbe gli scambi e il libero mercato; bisognerebbe, invece, tagliare drasticamente i tassi d'interesse nei Paesi industrializzati, e in quelli poveri, imporre controlli d'emergenza sui capitali lì investiti, scoraggiando le imprese nazionali a chiedere prestiti in valuta estera. D'altronde, conclude l'economista americano, fu imponendo controlli sui capitali per molti anni, dopo la Seconda guerra mondiale, che molti Paesi industrializzati diventarono ricchi e, in un secondo tempo, si aprirono ai movimenti del libero capitale.
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