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Grande Magris, un vero pezzo di bravura, che racconta in forma di monologo una storia d'amore grande e tormentata. Echi kafkiani e mitologici si mischiano in questo racconto dove ogni parola è una perla di appropriatezza.
scritto male, enigmatico senza fascino, una donna che ama , che sceglie di non ricongiungersi al suo uomo, ( antipatico) per motivi mal spiegati, un amore che si suppone grande e bello descritto per cenni banali. Curioso il titolo: io non ho capito proprio.
Questo piccolo tesoro, l'ho trovato per caso. L'ho letto, riletto, riletto ancora e leggerò di nuovo ogni volta che avrò bisogno di star bene oltrepassare i confini e andare al di là dei miei limiti. I libri migliori sono quelli che dicono quello che già sappiamo, diceva George Orwell ma, aggiungo io, lo scopriamo solo leggendo. GRAZIE Grande Magris
Recensioni
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L'altro percorso nasce da una scrittura autobiografica che è speculare all'io narrante una posizione che coniuga il vissuto privato con la propria esistenza d'intellettuale. Per Magris la ricerca di un tempo incorrotto di un vissuto remoto è anche sguardo sulla propria opera sulle sue origini sul senso del suo lavoro. Già ma qui non c'è la voce di una Albertine che a un certo punto dice "mon Marcel". Qui Euridice mai si rivolge al suo Orfeo lei – lo sappiamo – parla solo con il "Presidente". E tuttavia sgrammaticando il "patto autobiografico" dirò che in Lei dunque capirà si percepisce il dialogo dell'autore con la sua "musa" scomparsa: Marisa Madieri. Senza pathos reverente ben inteso senza aulico inchino piuttosto con una vivificante sagace autoironia. Perché lui il "poeta" balza fuori dal testo come uno screziato funambolo che avanza generoso e versatile sulla scena letteraria ma in realtà è messo in moto da lei "amplificato" e poi all'occorrenza sforbiciato ripulito insomma nel corpo e nella pagina. E raggiunto il successo è ancora lei che lo tutela e – lo sappiano le sue "squinzie" – persino lo sostituisce nella sua corrispondenza privata divertendosi a "far gongolare" la schiera di ammiratrici.
Costrizione e nostalgia si alternano nel ricordo che muove un doppio ansito di lei salda e desiderante nei giorni e negli anni in corsa verso lui che scende nel regno delle ombre per richiamarla a sé: "Era vicino lo sentivo; si fa per dire vicino la Casa è sterminata e i suoi corridoi scale gallerie stanzoni soffitte sembrano non finire mai ma io sapevo sentivo che presto non importava quando fra anni fra poco – sarei uscita e sarei stata fra le sue braccia la sua bocca sulla mia". Mentre lui Orfeo sospeso lacerato dalla perdita nell'anima e nella carne tragitta con la scrittura verso di lei in cerca della verità "perché soltanto il Vero grande e terribile è degno del canto". Alza il tono il referente mitico avvia a una dimensione universale che disperde il tratto autobiografico.
Ma diverge repentina la nota di chiusura lo scarto dal mito classico: non è lui che si volta per troppo amore è Euridice che non vuole ricominciare a "cucinare lavare fare all'amore andare a teatro invitare qualcuno a cena ringraziare per i fiori parlare…". C'è una sottile rivendicazione femminista in quella sottrazione finale. Quasi un passar le consegne. Ecco allora che lo stesso titolo Lei dunque capirà assume un secondo senso producendo implicitamente altra vita. Euridice svanisce mentre nel suo sguardo lui proscritto dal regno delle ombre appare "straziato" ma "ancora capace di serenità forse anche di felicità". Il titolo sembra ora fondere due voci: quella del passato e quella di un diverso futuro che può avere inizio.
Anna Chiarloni
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