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Anno edizione: 2003
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E' un racconto triste che lascia l'amaro in bocca. Nel cimitero di Siena ci sono tre croci, una per ciascuno dei tre fratelli: Giulio, Niccolò ed Enrico Gambi. Causa della tragedia è un giro di cambiali non pagate; un fallimento della libreria e della legatoria di proprità dei tre fratelli. A tutto questo si aggiunge la vergogna di non avere onorato il debito con il cavaliere Nicchioli. Un ottimo racconto.
Inferiore al capolavoro "Con gli occhi chiusi", è comunque un romanzo di gran livello: personaggi tratteggiati con cura e lingua usata sempre con grande metodo. Tozzi è forse il più sottovalutato scrittore italiano degli ultimi 200 anni!
stupendo
Recensioni
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Federigo Tozzi vede la stampa del suo ultimo romanzo, Tre croci , nel febbraio del 1920: nel mese seguente, a seguito di una dormita con la finestra aperta, lo scrittore senese si ammala di polmonite e muore. Verrà sepolto con una copia di Tre croci nella bara.
Il romanzo dei tre fratelli di Siena, proprietari di una libreria, coinvolti in un vortice di cambiali false e fallimento, quindi di morte (il più sensibile finisce suicida, il secondo schiantato dall'"apoplessia reumatica", il terzo sfinito dalla gotta all'ospizio), è considerato generalmente meno originale del folgorante Con gli occhi chiusi , in quanto sembra ritornare a moduli ideativi, narrativi, descrittivi del romanzo realista ottocentesco. In effetti gli ingredienti sono quelli: la ragione economica come motore della rovina, la tara familiare, le malattie "scientificamente" perlustrate nei momenti finali della decomposizione psico-fisica dei personaggi, la struttura rigorosa e implacabile del tracollo, la bestialità umana nelle sue funzioni primarie (il ventre protagonista), la follia, l'ipersensitività che soccombe, l'analisi delle motivazioni di un suicidio (Alfredo Oriani vi aveva dedicato un romanzo intero, Vortice , uscito nel 1899).
Però. Siamo sicuri che la "regressione naturalistica rispetto a Con gli occhi chiusi " (parole di Giacomo Debenedetti) sia qualcosa da valutare in modo storicamente così involutivo? Non corriamo cioè lo stesso rischio di quando consideriamo Senilità inferiore al capolavoro modernista La coscienza di Zeno , o di quando deprimiamo i grandiosi Vecchi e giovani alla luce corrosiva del Fu Mattia Pascal , o del pulviscolare Uno, nessuno e centomila ? Un'occasione per rinnovare queste riflessioni ci è offerta oggi da un'ottima edizione di Tre croci , curata da Carlo Serafini. Il quale ci mette a disposizione un'intelligente introduzione, un profilo biografico dell'autore, una vasta bibliografia (più di venti pagine fitte di titoli), un testo accuratamente annotato negli aspetti non soltanto linguistici ed esplicativi ma anche in quelli interpretativi.
Lo stesso Debenedetti indicava che "il breve dramma naturalistico e piccolo-borghese" di Tre croci si complica angosciosamente per l'emergenza dello psichismo inconscio, per l'influsso continuo dell'"emisfero d'ombra" sul dominio diurno realistico. Inoltre la "scoperta" pre-suicidale di Giulio, il più delicato e colto dei tre fratelli, cioè che non si ha certezza piena di vivere, che la realtà è convenzionale , e che in essa insiste come invariabile perenne la morte, anzi desiderio di morte, costituisce un documento squisitamente "novecentesco": basti pensare, di lì a poco, all'umanità sedicente viva cui si affilia Montale.
Ma ci preoccupa qualcosa d'altro. E cioè l'equivoco di reiterare l'equazione storico-critica per cui all'alba del XX secolo un romanzo di struttura classica e geometrica sia reazionario, mentre uno aperto, liberato e franto sia necessariamente novità novecentesca, quindi superiore. Il punto non è opporre un modello all'altro, esaltare un tempo di edificare o, al contrario, un tempo di distruggere. Il punto è rinunciare a uno schema di teleologia letteraria e leggere i processi nella loro complessità, piuttosto che seguendo un solo trend evolutivo. L'autore di Con gli occhi chiusi e di Tre croci modula in forme narrative diverse, in capolavori diversi, una analoga strepitosa modernità lacerata, sempre proficua per noi che, storicamente se non ideologicamente, siamo postmoderni.
Roberto Gigliucci
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