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Ermanno Rea, partendo dalla storia di Francesca Spada, donna comunista criticata per la sua "immoralità" dagli stessi comunisti, molto più bigotti di tanti cattolici e liberali nei famigerati anni '50 ( e non solo), riscrive la storia di Napoli dall'inizio della guerra fredda ai primi anni '60. La città è presidiata dagli americani, pronti a metterla a fuoco e fiamme (come tutto il resto dell'Italia) se alle elezioni politiche del '48 avessero vinto i socialcomunisti. E i comunisti cittadini, comandati dal "capataz" Giorgio Amendola e dal suo sbiadito sodale Napolitano (che poi sarà immeritatamente presidente della repubblica per circa nove anni!), si gingillano in questioni di lana caprina tra stalinismo e obbedienza cieca al partito in debito d'ossigeno, senza neanche sapersi opporre al laurismo montante. Una Napoli che diventa anche economicamente marginale, pur avendo il più importante porto nel Mediterraneo. Ermanno Rea costruisce una delle più implacabili critiche ad un partito, quello comunista, che ora non esiste più, ma i cui "cacicchi" (leggi Napolitano, D'Alema, Veltroni) hanno brigato per il potere, l'hanno ottenuto, con un pessimo servizio al nostro Paese. Che ancor oggi paga un prezzo troppo salato! Libro da leggere assolutamente!
Dopo aver letteralmente divorato ‘’Nostalgia’’ presa dal colpo di fulmine per Ermanno Rea, ho comprato Mistero Napoletano, il quale ahimè purtroppo non era all’altezza delle aspettative.
Basandosi su ricordi, verbali, ritagli di giornale, diari e testimonianze di alcuni protagonisti dell’epoca, a distanza di più di quarant’anni l’Autore rivive con pathos il clima e gli eventi nella Napoli del dopoguerra e degli anni cinquanta, e dipinge con una prosa felice luci e ombre che caratterizzarono in quel periodo l’ambiente partenopeo di sinistra, in particolare la federazione napoletana del Partito Comunista Italiano la cui storia si intreccia con le vicende amare di una figura femminile di spessore culturale e di grande generosità umana ai confini di una profonda spiritualità. Una intellettuale inquieta dal trascorso tormentato e dal sofferto presente, non disposta a tacere le proprie divergenze pur consapevole di andare incontro a costi assai alti, e dunque per molti versi scomoda e invisa a un apparato di partito con forti incrostazioni risalenti agli anni della clandestinità. È, quella di Rea, una dolorosa rievocazione risarcitoria delle umiliazioni inflitte ai dissenzienti da un gruppo dirigente che praticava un’adesione piatta e ottusa allo stalinismo e che dunque pretendeva obbedienza acritica cieca sia sul piano politico che su quello umano; mentre invece in quel periodo, anche grazie all’apporto di quadri giovani culturalmente vivaci e non legati al culto della fedeltà cieca, affioravano nel partito inquietudini, dubbi e cauti dissensi che sarebbero esplosi con una carica liberatoria a seguito del XX congresso del PCUS.
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