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Bel romanzo. Primo libro letto di Pennac e devo dire che la valutazione è molto positiva. Sicuramente particolare come stile, storia, modo di rappresentare i personaggi, ma la sua originalità mi è piaciuta, così come la trama, insolita e divertente con svariati colpi di scena. Il romanzo varia dal giallo al drammatico, alla commedia. Narra le peripezie del protagonista, Benjamin Malaussene, che parla al figlio che aspetta, presentandogli quello che lo aspetterà nella vita, con spunti veramente interessanti. Divertente
Innanzitutto se non avete letto gli altri libri della saga Malaussene, non iniziate da questo: è il libro con più rimandi agli altri romanzi. Non lo capirete e lo giudicherete brutto. I personaggi come sempre sono molto divertenti, la trama è quasi surreale pur nell'ambientazione molto reale, la scrittura divertente ma intensa all'occorrenza. E' forse il libro il cui intreccio giallo è più flebile e poco riuscito (il finale è troppo frettoloso e un po' gratuito), il tutto è compensato però da sotto-storie molto "umane" che coinvolgono il lettore. Direi che il voto sarebbe un 4,5.
Stavolta ho fatto un po' più fatica a portare avanti il libro, forse anche perchè è più corposo dei precedenti. Mi è sembrato comunque più intricato ed ho fatto un po' più fatica a tenere a mente tutti i personaggi nuovi e vecchi che compaiono. Ritroviamo infatti tutti i personaggi dei precedenti 3 libri più un certo numero di nuovi personaggi, ognuno con le sue caratteristiche e le sue stramberie. Si capisce da tante piccole cose che per Pennac doveva essere il capitolo finale della saga, anche se poi sono seguiti altri 2 libri (che sicuramente leggerò). Questo libro infatti ripercorre tutte le vicende del capro espiatorio dal primo all'ultimo libro, tornano tanti personaggi che avevamo lasciato ai Grandi Magazzini ed attraverso l'opera teatrale di Jeremy ripercorriamo tutte le vicende del Capro Espiatorio...e tra poco finiva per pagare lui per tutti gli omicidi di Belleville di tutti e 4 i libri!! Anche per questo non è proprio possibile apprezzare questo libro se non si sono prima letti gli altri 3, anche perchè Pennac non è solito fare riassunti delle puntate precedenti!!! Un'opera conclusiva dunque dove ci si domanda, fra le altre cose, se vale la pena nascere in un casino del genere. Ai lettori l'ardua sentenza.
Recensioni
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recensione di Bosco, G., L'Indice 1995, n.10
recensione pubblicata per l'edizione del 1995
A cinquantun anni, professore di lettere in un liceo e scrittore, conosciuto da noi soprattutto per l'inconsueto manuale d'istruzione alla lettura "Come un romanzo" (Feltrinelli, 1993), Daniel Pennac è il pifferaio di Hamelin della narrativa contemporanea francese. Dal 1985 a oggi si è inventato una saga del mondo moderno, da raccontare di libro in libro, i cui eroi sono però al contrario, il cui luogo è un'isola incantata che però esiste davvero, le cui storie oltreché molto divertenti sono però anche truculente e tragiche.
Nel quartiere parigino popolare in cui vive, lavora e ambienta i suoi romanzi, ci sono la sera gruppi di persone che si trovano per reinventarsi collettivamente le avventure di Benjamin Malaussène e compagnia, ritrasformando il marciapiede in focolare. Conoscono Pennac in carne e ossa, ma non fanno differenza tra lui e i personaggi di cui scrive.
Del resto, se Pennac non ha mai detto "Monsieur Malaussène c'est moi", potrebbe tranquillamente dirlo. Nel titolo dell'ultimo romanzo, tappa finale della saga iniziata dieci anni fa con "Il paradiso degli orchi", c'è infatti un indizio. Sviato, ma preciso. È il riferimento al Flaubert di "Madame Bovary". Rivelazione (o conferma) del fatto che il protagonista dell'intera saga Benjamin e Daniel Pennac sono la stessa persona. O meglio, come nel caso di Emma Bovary per Flaubert, che lo sguardo di Benjamin è quello attraverso cui l'autore Pennac racconta le sue storie.
È un sistema referenziale, questo che parte dal titolo, cui Pennac ha fatto ricorso sin dall'inizio della saga. In ognuno dei titoli sono presenti indizi che servono a segnalare un percorso. "Il paradiso degli orchi" (Feltrinelli, 1985) era in francese "Au bonheur des ogres". Benjamin Malaussène vi era già, alla prima comparsa, nel ruolo del Capro Espiatorio che sarà suo sempre. In quell'avvio di saga, lo era nel contesto di un grande magazzino, cornice dell'azione del romanzo. Come un grande magazzino era cornice dell'azione di un romanzo della fine del secolo scorso, parte di una saga familiare a sua volta: "Au bonheur des dames", di Èmile Zola. La presenza degli orchi al posto delle signore, nel titolo, è indizio che rimanda al contesto delle fiabe. Ne "La fata Carabina" (Feltrinelli, 1992), seconda tappa della storia, in francese "La fée Carabine" (1987), salta agli occhi l'utilizzazione dell'immediato riflesso di pensiero al nome di Carabosse, nella tradizione folklorica megera gobba dalla cui bacchetta magica non escono prodigi ma cattiverie. "La prosivendola" (Feltrinelli, 1991), poi, era in francese "La petite marchande de prose". Il riferimento indiziario sviato è in questo caso certamente alla "Petite marchande d'allumettes", titolo francese della "Piccola fiammiferaia", fiaba di Andersen, con quel titolo trasposta in film da Jean Renoir, uno dei primi film che Pennac vide da bambino.
Indizi e fiabe. La mescolanza, che somma elementi propri della letteratura poliziesca ad altri specifici del racconto di fate, è parte essenziale del progetto di scrittura di Pennac. Prima di passare alla "collezione bianca", quella che nelle edizioni Gallimard è riservata ai romanzi non di genere, Pennac per le prime due parti della saga era stato pubblicato nella storica "série noire", la collana dei gialli. Le vicende della tribù Malaussène - Benjamin, familiari, cane Julius epilettico - sono infatti caratterizzate da eventi imprevisti per lo più di natura criminale. Pennac è convinto dell'affinità tra genere poliziesco e genere fantastico; innanzitutto per la presenza in entrambi di situazioni impossibili cui vengono trovate dall'autore soluzioni possibili, per il tramite di un ispettore nel primo caso, di un essere fatato nel secondo. Ma anche per la produzione di immagini che contraddistingue entrambi i generi per la volontà di far interagire le rispettive specificità in modo da ottenere come risultato l'esplosione del concetto stesso di genere, e come sistema pratico per ingannare le aspettative del lettore, destando in lui a ogni effetto di contaminazione spiazzamento e soprattutto sorpresa.
Nel "Paradiso degli orchi", Benjamin faceva il Capro Espiatorio nel Grande Magazzino avendo il compito di sorbirsi al posto dei padroni le lamentele dei clienti insoddisfatti. Aveva però il problema che attirava su di sé i guai e si trovava sempre nel posto sbagliato, ad esempio ogni volta in prossimità delle bombe che di tanto in tanto esplodevano tra i giocattoli, nel magazzino. Era dunque il colpevole ideale, ma entrava in scena il commissario Coudrier che, diverso dagli ispettori classici, finiva per credere all'inverosimile successione di casi raccontatagli da Pennac. Interveniva poi Tante Julie, prima fata della saga, nei panni di una giornalista di "Actuel", che si'interessava al caso di Benjamin e ne scriveva sul suo giornale. Un articolo in conseguenza del quale il Capro Espiatorio veniva licenziato e doveva trovarsi un altro luogo dove esercitare. Nella "Fata Carabina" erano le Edizioni del Taglione il nuovo scenario delle imprese di Benjamin. Delle imprese sue, della sua tribù sempre più allargata, e della . Regina Zabo, responsabile della casa editrice e nella fattispecie fata cattiva. Come l'anziana signora che per strada sparava ai giovani, la Regina Zabo era un genio del male che metteva in piedi una truffa in base alla quale Malaussène doveva passare per l'autore di un libro di successo. Di nuovo Capro Espiatorio, apriva involontariamente uno spiraglio su orribili traffici (droga, vecchi, bambini) e finiva in coma all'ospedale. Vi restava per metà della "Prosivendola", nel quale il proiettore era puntato su Julie, decisa a salvare Benjamin. A sua volta divenuta sospetta, mentre altre teste cadevano, se la cavava perché personaggio caro all'autore.
"Monsieur Malaussène" dovrebbe essere, nelle intenzioni di Pennac, la conclusione delle avventure del gruppo. Giungerebbe alla fine la saga perché nella realtà sta finendo Belleville, intorno ai personaggi umani protagonista indiscussa dell'intero ciclo. Belleville, quartiere nord di Parigi che si estende sui XIX e XX arrondissements, che fa da palcoscenico alle avventure narrate, determinandole in grande misura per il suo modo di essere città essendo paese e viceversa, le sue tirannie, crudeltà e ingiustizie, le sue bellezze struggenti e l'irripetibilità. Belleville sta morendo per incuria degli amministratori che trattando il quartiere "di confine" come fosse 'banlieue', periferia, lo trascura e abbandona in preda ai problemi della disoccupazione e della speculazione edilizia.
Belleville sta morendo: Pennac non può che cantarne l'inno finale e chiudere (ma sarà vero?) la saga a Belleville dedicata. Lo fa con un libro fuoco d'artificio che è il parossismo dei precedenti. Cissou la Neige, fabbro, sabota le perquisizioni dell'ufficiale giudiziario per il quale in teoria lavora. Ha tatuata sulla pelle la pianta del quartiere in via di scomparsa. Al cinema Zèbre, prima della distruzione, dovrebbe venir proiettato in visione esclusiva il Film Unico, spiegazione di tutto. Benjamin Malaussène, più Capro Espiatorio che mai, finisce in carcere accusato di ventun crimini.
La catastrofe sembrerebbe prossima. Ma come la saga si è più volte morsicata la coda mettendo in scena il racconto di se stessa, così grazie alla fata Julie che continua a essere giornalista e procace, la fine del romanzo viene a coincidere con un ulteriore inizio. Pennac costruisce la sua scrittura distribuendola su piani svariati che interagiscono tra loro. Da questa narrazione, Monsieur Malaussène salta fuori, in conclusione, sorprendentemente rinato dalle proprie ceneri.
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