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Anno edizione: 2009
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Un libro che imprime su carta i pensieri che avevo fin da piccolo ogni volta che, semplicemente, mi limitavo ad osservare la vita pendolare in un'Italia di cui non capivo veramente i problemi. È un libro scritto per tutti ma capace di toccare le corde di pochi. Un libro che si ostina a cercare la poesia lungo le crepe dei caselli, l'abbandono delle stazioni, la solitudine delle strade ferrate secondarie che hanno fatto la storia di questo paese, la storia con la S minuscola, la storia come semplice cronaca di infinite biografie.
Godibilissimo, scritto bene e fa venir voglia di viaggiare sulle ferrovie minori, prima che scompaiano, a contatto con parti meno note del nostro paese. Senza retorica, parti bellissime. Oltretutto, un libro in cui si sente la conoscenza di quello che c'è dietro: la fatica e l'impegno dei ferrovieri, la distanza della Politica dal paese reale, i chilometri che la gente percorre per incontrare la propria famiglia lontana o per andare al lavoro. Apparentemente semplice, in realtà è una miniera. Da leggere.
Racconto a tratti curioso, a tratti struggente, non cade mai nel banale, ma anzi descrive con passione "triestina" l'infinito intercalare e procedere dell'onusta rete ferroviaria italiana. Profetico nel descrivere lo stato di abbandono del nostro sistema ferroviario come alter ego del sistema politico, la narrazione non cade mai nella dietrologia o nello sproloquio politico, è assolutamente priva di iattanza, ma espone realtà oggettive che oggi (siamo nel 2010) appaiono ormai consolidate nella cronaca. L'autore sceglie la tecnica anglosassone della narrazione a due voci creando un contraddittorio che è il vero sale di questa raccolta di racconti. Consiglio il testo ai nostalgici del'Italia democratica e post bellica che fu, oggi voce di assoluta minoranza in un contesto politico e sociale di totale decadenza morale.
Recensioni
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L'Italia in seconda classe è il nuovo racconto di viaggio di Paolo Rumiz, una canzone innamorata del nostro Paese narrato dalle carrozze di seconda, insieme a un misterioso compagno di viaggio, "740", dal nome della Sette e quaranta, l'archetipo della vaporiera italiana. Solo a metà tragitto scopriremo l'identità di questo famoso alter ego dello scrittore triestino. I due partono da Olbia, in Sardegna, uno scossone e la locomotiva 668 fa tu-tun in mezzo a lecci, lentischi e rocce emergenti; lo scompartimento si riempie di profumo di mirto, niente aria condizionata, niente treni che somigliano ad aerei. La motrice del trenino per Sassari balla come una tarantola e tra cactus e cicale si entra in una valle ostica e infuocata che sembra di essere in Afghanistan, a Kabul, più che in Sardegna. Da Arbatax vanno a Cagliari, poi col traghetto si spostano in Sicilia dove, tra stazioni fantasma e frenate sotto le stelle, percorrono i chilometri da Aragona ad Agrigento a Catania, ammaliati da una bellezza che ti frega, fatta di limoni e di un mare greco, ventoso, zincato che ti abbacina nel controluce del matttino.
Il viaggio a zig zag nella pancia dell'Italia prosegue in Calabria, sul treno da Catanzaro a Cosenza via Soveria Mannelli; è una motrice che si inerpica sulle montagne, gira nei valloni e che "profuma di femmina" perché è abitata da sole donne, a parte il capotreno e il conducente. Lasciata la littorina della Sila, la "ferrocronaca" estiva di Rumiz prosegue in Campania, verso il Tirreno color rame: da Salerno a Napoli, il treno passa tra gallerie e stratificazioni di terrazze, case e balconi «'n coppa 'o mare» e lì l'intasamento è pazzesco. Da mare a mare, i due viaggiatori optano per la terra di mezzo, tagliano l'Abruzzo ad Avezzano e risalgono lo stivale da San Vito Marina, L'Aquila, Foligno. Sono sulla costa di D'Annunzio ma non c'è niente che ricordi l'Italia, anzi, è come se dall'altra sponda filtrasse una trasandatezza balcanica. Il grido è sempre lo stesso: privatizzare, spezzare le reni alla ferrovia litoranea, c'è lo Stato che mette i suoi servizi in svendita e la patria che diventa un'azienda. Dopo Ortona e Chieti le nostre guide sono costrette a prendere un Eurostar, venendo meno al loro giuramento di inizio viaggio, e «quel maledetto treno a forma di supposta, con il culo uguale al muso, che non sai mai da che parte voglia andare» li porta a Firenze in un attimo. Per fuggire dal bla-bla dei telefonini diretti a velocità folle su Milano non resta che una fuga sulla più bella linea ferroviara dell'Appennino, la Faentina, e un'altra sulla così detta Signorina a Vapore, la Firenze-Siena-Monte Amiata, che va in mezzo ai campanili lontani della val d'Elsa e alle Crete Senesi.
La migrazione prosegue a nord, nelle terre dell'Emilia e lungo la riviera ligure, risale sul Po sempre con treni dell'altro mondo e finisce nelle terre dell'autore, quelle asburgiche del Friuli. I nostri viaggiatori raccontano l'ultima impresa: circumnavigare i tre confini a oriente delle Alpi. Italia, Austria, Slovenia e poi di nuovo Italia. E a Gorizia si chiude, lì è il capolinea dei loro sogni e di un viaggio che ha ridisegnato l'Italia.
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