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Per me che amo cucinare è stato un libro bellissimo. Mi ha insegnato anche ad apprezzare la parte meno esaltante di tutto il lavoro: quando bisogna pulire, rassettare. Riordinare è descritto come un gesto d'amore verso la casa che ci accoglie e verso i nostri cari che vi abitano. Lo stesso cucinare è un gesto d'amore, ma anche un gesto terapeutico per risolvere i dissapori interiorie e ritrovare lucidità. Il cibo merita rispetto e gratitudine, quindi bisogna goderne senza eccessi. Il cibo parla di noi, di come siamo adesso e di come siamo cambiati attraverso gli anni.
Libro di buona fattura o manuale di cucina?! A me è piaciuto molto in entrambi i sensi. Le citazioni umanistiche di Brillat Savarin sono gustose ed attuali. Le ricette collegano alla tradizione siciliana ma anche internazionale, vista con amore ma anche con ironia (ed autoironia). Il "buon gusto" è sapore, ma anche buona educazione e finezza, amore e rispetto per i convitati ma anche verso i collaboratori, graditi ospiti in cucina(godibili le pagine "di intimità ed intensa carica erotica" , a descrizione dell'"interludio génésique"). "Cucinare unisce e predispone all'amore" . Grandissimo merito della cucina, forse il più grande è, dopo un buon pasto, essere più propensi "a cercare l'altro e offrirci per dare felicità". La forma dello scrivere è colta, precisa, con il piacere della descrizione e dell'analisi, e con una serie di consigli utilissimi derivati dalla collaborazione con la "maestra di cucina".
Confesso di essere un pessimo cuoco: in caso di necessità mi limito a cuocermi un piatto di pasta asciutta ed una fettina ai ferri. Di conseguenza sono il meno accreditato a commentare questo libro. Perché lo ho comperato, allora? Il motivo è da trovarsi nell'avere apprezzato, della stessa Autrice, il precedente "Un filo d'olio", una lettura piacevole ma per altre ragioni: ricordo che lo recensivo lodando "il ricordo delle estati di un' infanzia lieta trascorse nella campagna di famiglia nei dintorni di Agrigento, i giochi dei bambini e la vita degli adulti, baroni e contadini, in una Sicilia che non esiste più ma che è bello ricordare" ed ancora "per lo stile della narrazione, con l'uso di vocaboli siciliani alla moda di Camilleri ma in maniera più misurata". Qui si trovano soltanto poche tracce di quell'incanto, ma in compenso si parla diffusamente delle abitudini alimentari e conviviali degli inglesi: per le prime non abbiamo molto da imparare, per le seconde un po' di più
Recensioni
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Succulento, questo nuovo libro di Simonetta Agnello Horby. Si può gustare saltellando qua e là tra le pagine o ci si può immergere tra le righe per assaporarne fino in fondo ogni sfumatura. La scrittrice, siciliana d’origine e inglese d’adozione, dopo il tentativo riuscitissimo con l’editore Sellerio (Un filo d’olio, 2011) si cimenta ancora una volta in un genere che le calza a pennello, quello della trattatistica culinaria d’autore, offrendoci uno dei più bei libri dedicati al piacere della tavola.
Il suo grande Maestro e fonte inesauribile d’ispirazione è il politico e gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin, colui che verso la fine del Settecento firmò il trattato de La fisiologia del gusto, o Meditazioni di gastronomia trascendente, un’opera che mescola amabilmente nozioni scientifiche, riflessioni filosofiche, aneddoti storici e consigli, una pietra miliare su cui venne fondata la figura dell'intellettuale gastronomo. A Brillat-Savarin si deve il noto aforisma “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”, così come si deve una delle più grandi rivoluzioni della gastronomia mondiale: l’invenzione della cosiddetta “cucina borghese”. Una tendenza che, durante l’età della restaurazione, ha riportato sulle tavole delle classi abbienti di mezza Europa, cibi freschi, sapori raffinati e una crescente ricerca dei migliori accostamenti di sapori, a discapito di un vecchio stile di cucina in cui, alle grandi quantità di carni e pesci, venivano riservate lunghissime sessioni di cottura e frollatura.
Ispirata da una cucina semplice ma saporita, Simonetta Agnello Hornby riprende e attualizza la filosofia del buon gusto francese, conciliandola con l’arte del convivio tipico del sud d’Italia. Partendo dai suoi ricordi d’infanzia, legati ai sapori e ai profumi tipici della tradizione siciliana e agli insegnamenti di sua madre, Simonetta Agnello Hornby descrive la sua personale visione dell’arte gastronomica, trasferendo nella sua cucina contemporanea londinese tutta la sapienza del passato.
Dalla scelta degli ingredienti alla selezione degli invitati, dalla descrizione dei pezzi di chincaglieria da portare in tavola al bon ton, dalla scelta del menù più adatto a tutte le occasioni all’arte dell’intrattenimento, non c’è nessun argomento che possa dirsi trascurato in queste pagine. Le considerazioni di carattere sociologico, legate alle nuove abitudini di consumo dei cibi nel mondo contemporaneo, sono lasciate alla disamina di Maria Rosario Lazzati, nota maestra di cucina con cui la scrittrice firma il volume e che ci offre, nelle ultime pagine, il suo menù delle feste. Ma i ricordi di famiglia, le incursioni nella storia della gastronomia, le citazioni e gli aneddoti sono tutti appannaggio della penna affilata e precisa della scrittrice siciliana, capace anche di aggiungere il suo personale tassello alla storia del gusto. È sua, ad esempio, la teoria secondo cui esisterebbe un sesto senso oltre ai cinque che tutti conosciamo: il gusto “génésique” del cibo, quello che ci procura desiderio e appagamento durante la preparazione così come durante il consumo di un buon pasto.
E se qualcuno, leggendo, avesse da obiettare che per seguire alla lettera i consigli della scrittrice bisognerebbe avere tempo, risorse e stupendi servizi da tavola ereditati dalla nobile famiglia paterna e materna, si potrebbe rispondere con le parole del Maestro Jean Anthelme Brillat-Savarin: “Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni; può associarsi a tutti gli altri piaceri, e resta ultimo a consolarci della loro perdita.”.
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