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Un'opera importante per lo studio di uno degli ambiti della storia della letteratura meno indagati, ma importante per capire la dimesione pubblica del dibattito letterario nel Novecento.
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Forse, anche prima di addentrarsi nelle sue pagine, basterebbe scorrere gli utilissimi indici di questa Storia per rivedere, in senso tutto novecentesco, una fortunata idea sulla nascita della letteratura, sulla sua venuta al mondo. All'interno di quel sistema complesso che è il Novecento la letteratura appare sempre meno un prodotto a parte, rimesso a un suo genio particolare e in una certa misura indipendente dalla propria epoca e dai suoi rivolgimenti. E se riesce, dopo, a lasciarsi tutto questo dietro di sé, la stessa grande letteratura, l'opera che secondo Montale arriva come un "miracolo" e che Benjamin giudicava sempre "sfasata" rispetto al proprio tempo, non nasce in una specie di vuoto, in una splendida solitudine. Al contrario, appare ogni volta come il centro più attraente di un'immensa periferia culturale: è circondata da tanto "discorso", proprio come si legge sulla retrocopertina di questo volume, da "recensioni e schede, rassegne e saggi, interventi e interviste, dibattiti e polemiche, anniversari e necrologi".
Il merito di questa dettagliatissima Storia dell'informazione letteraria coincide, in fondo, con il superamento di un limite implicito nel titolo e, di conseguenza, di un fine meramente strumentale. Di fatto, Ferretti e Guerriero (e gli altri "giovani e valorosi studiosi" che vi hanno collaborato) hanno prodotto un'effettiva storia della cultura italiana del Novecento attraverso l'informazione letteraria, secondo una logica complementare a quella di una pura storia della letteratura. In effetti: perché lo studio di un'opera dovrebbe farci conoscere i tratti della sua epoca più delle vicende editoriali che la accompagnano, della sorte delle riviste su cui compare, del numero delle sue tirature e addirittura dei premi a cui potrebbe concorrere?
Ricostruire la storia culturale italiana dal fascismo all'epoca globale attraverso i luoghi (sempre meno periferici, in realtà) dell'"informazione" significa innanzitutto includere qualcosa che sfugge all'idea stessa di canone, riportare felicemente in vita riviste scomparse dopo pochi numeri, oscuri recensori ormai dimenticati, audaci imprese editoriali e una lunga serie di "aspetti aneddotici o curiosi spesso rivelatori" in cui è veramente possibile cogliere, direbbe Praz, lo spirito del tempo: il duce che nel 1928 proclama l'Italia culla della "stampa più libera del mondo intero" (historia se repetit), ben prima della soppressione dell'"Omnibus" di Longanesi per un "irriverente articolo di Savinio su Leopardi"; e Benni che nel 1980, alle soglie del decennio dei consumi e dell'entertainment, liberava la sua libreria da Gramsci e Lenin per riempirla di "fumetti, gialli, libri di macrobiotica".
Ma, in realtà, mentre si piega su tutti questi dettagli "rivelatori", mentre ritrae negli anni critici e recensori, rievoca strategie editoriali e casi letterari, la Storia non diventa un semplice catalogo di testate giornalistiche, editori e autori: sfugge al rischio della compilazione e della rassegna nel momento in cui avanza questioni ancora in sospeso, traccia quadri d'insieme sostanzialmente aperti, problematici. In questo senso la scelta metodologica si rivela determinante. Arrivare a trattare l'"informazione letteraria" contemporanea non consente innanzitutto di aggirare, magari da nostalgici o "apocalittici", il rapporto fra letteratura e nuovi media, rapporto che la Storia per prima affronta in maniera organica, con una conclusione indiscutibile: se non è più possibile ignorare cosa siano blog, customer reviews e librerie on line, né sottrarsi alla crescita apparentemente "illimitata" della "società digitale", è bene sapere che "come sempre è necessaria anche una crescita della società reale che inverta il deterioramento civile attuale in tutti i settori".
Ma in fondo, e al di là di tutti i recenti spazi virtuali, com'è la reale società letteraria italiana? Quali sono i suoi tratti più distintivi e durevoli? Nelle ultimissime righe la Storia risponde a queste domande individuando forse il vero punctum dolens, di certo l'ultimo e più evidente in ordine di tempo: "l'attuale marginalità della mediazione critica", "uno dei tratti caratterizzanti il nostro tempo, non solo nel campo letterario". La società letteraria allargata che la Storia ricostruisce nel dettaglio è uno spazio in cui la critica, "discorso" per eccellenza, e la riflessione stessa sulla letteratura retrocedono fino a scomparire, proprio nel momento in cui si moltiplicano a dismisura gli strumenti dell'informazione e i punti di accesso (reali o virtuali) alla stessa letteratura. E in generale, e su questo punto la Storia ritorna spesso, è una società che non muta, nonostante il livellamento democratico attuato da questa diffusa accessibilità: una società segnata, a partire dalla terza pagina, dal "congenito elitarismo dell'intellettuale italiano", da tutti i suoi "pregiudizi o complessi aristocratici". Come se le ombre dei "conti" Leopardi e Manzoni avessero conquistato senza fatica anche i blog e le bacheche digitali.
Daniele Santero
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