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Perchè Vito Ciancimino non è stato ascoltato in nessun processo (Capaci, via D'Amelio e stragi del 1993) visto che fu lui il mediatore della "Trattativa"? La frase attribuita a De Gasperi su Andreotti, nell'ultima pagina, è la conferma dei nostri dubbi. Tanta solidarietà per Massimo.
Libro molto interessante, che non annoia mai, e che fornisce una "fotografia" di un sistema politico-mafioso in atto in quegli anni, ma che non faccio fatica a credere sia ancora in vigore, anzi... Ovviamente tutto ciò che è stato raccontato da Massimo è al vaglio della magistratura. Un libro sicuramente da leggere pe riflettere su molte vicende oscure del nostro paese.
Sono d'accordo con il lettore che avverte la necessità di distinguere in questo libro il vero dal falso, molti avvenimenti sono riportati dai figli di Ciancimino sulla base dei racconti del padre; interessante comunque per capire il "clima" nel quale ha vissuto l'ex assessore palermitano e per ritornare su vicende che hanno fatto la storia politica e criminale in Italia negli ultimi quarant'anni.
Recensioni
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Un testimone d’eccezione per una narrazione avvincente. Un saggio sulla mafia e la politica italiana che si fa leggere come un romanzo ricco di misteri e colpi di scena. La voce narrante è interna ai fatti raccontati. A scrivere è Massimo Ciancimino, il più giovane dei cinque figli di Vito, il politico democristiano più chiaccherato e processato per i suoi legami con la mafia, scomparso nel 2002. Oggi Ciancimino jr. ha quarantasette anni, è già stato condannato con l’accusa di aver “riciclato” il tesoro del padre, e da un anno sta collaborando con la magistratura per aiutare a fare luce sui segreti dell’ex sindaco e assessore ai Lavori pubblici di Palermo. È un collaboratore di giustizia che si racconta in queste pagine con l’aiuto di un cronista d’eccezione, Francesco La Licata, che dall’Ora di Palermo è passato a La Stampa di Torino e ha già scritto saggi su Giovanni Falcone e su Bernardo Provenzano (Pizzini, veleni e cicoria, insieme a Pietro Grasso), oltre a lavorare sugli stessi temi con Carlo Lucarelli alla redazione di Blu notte. Misteri italiani. Il risultato di questa collaborazione è un saggio fitto fitto, che scorre quasi come un romanzo attraverso i tanti misteri e le relazioni segrete tra Stato e Cosa nostra, pagine avvincenti come i film di Francis Ford Coppola o Sergio Leone ma, al tempo stesso, reali e drammatiche come gli ultimi quarant’anni di storia del nostro Paese.
I ricordi di Massimo Ciancimino iniziano dalla villeggiatura estiva a Baida, nella casa dei nonni, quando il padre-padrone lo obbligava a seguirlo nel rito quotidiano della rasatura al salone del barbiere. Il ragazzo, allora diciottenne, in veste di accompagnatore ufficiale del padre, scopriva dalle pagine di Epoca la vera identità dell’ingegner Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, un uomo che suo padre frequentava da anni, un amico di famiglia di cui il politico Dc si fidava e che, in realtà, era un feroce assassino divenuto poi il grande capo della Cupola. «Si erano conosciuti da ragazzi a Corleone, mio padre gli dava ripetizioni di matematica. Una volta gli mollò pure due ceffoni perché era svogliato». Massimo Ciancimino, con il senso delle «colpe che ricadono sui figli», con l’ombra del genitore che lo insegue fin da piccolo e che si proietta anche sulle nuove generazioni (suo figlio Vito Andrea) si sente «un ergastolano», uno che sconta a vita i rapporti di suo padre. Anche per questo, il suo racconto assume maggiore vigore, come una liberazione tardiva ma necessaria dalla «palude» nella quale a lungo ha vissuto.
Nel libro scorrono davanti a noi le immagini di tanti eventi oscuri della storia d’Italia: dal «sistema Ciancimino», che realizzò il così detto «sacco di Palermo» negli anni ’60 e ’70, agli investimenti della mafia al nord, nella Milano 2 costruita dalla Edilnord di Silvio Berlusconi a fine anni ’70; dal peso decisivo dell’Istituto opere religiose (Ior) vicino al Vaticano, fino alla trattativa dello Stato con il «capo dei capi», Totò Riina, per fermare le stragi di Cosa nostra del 1992. Sono quarant’anni di abbracci mortali, per dirla con le parole di Giulio Andreotti («Si ricordi, caro Ciancimino, che i nostri abbracci sono sempre mortali»), tra mafia, politica, affari e servizi segreti. Quarant’anni di storia criminale, di sangue, di morti ammazzati che sembrano il susseguirsi di un tragico film e che, invece, sono stati pura cronaca.
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