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Opera mastodontica che non è per tutti. Il primo volume de "La mia battaglia" si concentra su un evento che segna la vita dell'autore: la morte del padre, appunto. La narrazione si alterna tra il racconto del suo rapporto col padre nel passato e la sua vita nel presente, dividendosi tra l'organizzazione del funerale e la futura nascita del suo primo figlio. Per l'autore norvegese la scrittura diventa un'esigenza e questo lo si capisce durante tutta la lettura. Quello che leggiamo non sono inutili sproloqui, non sono delle inutili precisazioni, ma una terapia che caratterizza la sua vita. Questo aspetto del romanzo, la necessità per l'autore di scrivere, che diventa allo stesso tempo non solo un piacere, ma una maledizione, è molto forte durante tutta la narrazione. È un libro non adatto a tutti e che bisogna capire per poterlo apprezzare.
Libro lentissimo all'inizio con insignificanti aneddoti come le circa 50 pagine dedicate a una festa dell'ultimo dell'anno e inutili descrizioni sui preparativi x il funerale del padre: le pulizie di casa con analitica spiegazione delle operazioni svolte e i prodotti usati, le telefonate fatte x sbrigare le pratiche, i viaggi al supermercato con rendiconto delle spese effettuate... Ho scoperto che ci sono altri 4-5 volumi precedenti e successivi a questo(xò! che vita interessante) e che l'autore è considerato da alcuni il Proust scandinavo ma il paragone mi pare inappropriato: le descrizioni di Proust non sono fini a sé stesse, c'è sempre un profondo significato dietro ad esse. Knausgard descrive dettagliatamente le parole, i gesti, i vestiti che indossavano e cosa mangiavano e bevevano ma non è altrettanto minuzioso nel parlare dei suoi sentimenti. Verso la fine il libro migliora, quando parla dell'alcolismo del padre, rivelando anche episodi imbarazzanti o spiacevoli. Come voto sto nel mezzo xché apprezzo il coraggio, la sincerità, il mettersi a nudo ma la letteratura non può essere solo questo, questo romanzo non arriva veramente né al cuore, né all'anima.
Sicuramente non è facile trovare bravi traduttori dal norvegese, ma la Feltrinelli poteva impegnarsi un tantino di più. Errori grammaticali che ad un certo punto si smette di contare. Sullo stile dell'autore c'è invece poco da dire. Per nulla interessante, a tratti noioso. Storia che si finisce di leggere giusto per non interrompere un romanzo a metà. Certo, i sentimenti di un figlio di fronte alla morte di un padre che forse non si è mai voluto conoscere fino in fondo, non possono non toccare certe nostre corde interiori, ma viene comunque il dubbio, alla fine, che forse l'autore non abbia poi una vita così interessante da doverci scrivere sei tomi.
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