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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La mia prima lettura di J. Coe. Mi ha profondamente coinvolto. Pagina dopo pagina, fotografia dopo fotografia, evento dopo evento, diventava sempre più pressante la domanda "Che cosa succederà alla fine?" Perché l'Autore ti fa capire che tutto quello che stai ascoltando (dalla voce registrata di zia Rosamond) ti porterà inevitabilmente là, dove lui stesso è stato portato. E non sarà un lieto fine. Ma lo sapevi anche all'inizio. Tuttavia questo non non ti impedisce di pensare che i forti sentimenti, anche i sentimenti feriti vadano di pari passo con la vita di ciascuno delle persone che incontri, delle bambine e delle donne che incontri, sarebbe meglio dire.
E' un romanzo molto delicato, e tanto fragile. Ci sono pochi dialoghi e tante descrizione, ciò che mi fa sempre paura in un libro, ma con Coe non pesa. Una pagina volta dietro all'altra. E dalla prima all'ultima fotografia estantanea arriviamo fino alla fine. E dentro qualcosa si spezza. A Coe o lo si ama, o lo si odia, non c'è verso.
Per me è l'ennesimo capolavoro di Coe. Libro estremamente femminile (e già questa mi sembra una dimostrazione della grande bravura di Coe), ricco di sontuose descrizioni che, secondo me, aggiungono tantissimo ad una storia che si sviluppa pian piano, attraverso 20 fotografie sempre più sorprendenti. Anche l'approfondimento psicologico è finissimo, proprio di un maestro secondo me indiscusso della letteratura contemporanea. SEMPRE GRANDISSIMO COE!!!
Recensioni
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Una volta giunti all'ultima pagina di La pioggia prima che cada (e va lodata subito la nitida traduzione di Delfina Vezzoli), viene in mente una riflessione di Susan Sontag: "Prima di tutto, una fotografia non è soltanto un'immagine, un'interpretazione del reale; è anche un'impronta, una cosa riprodotta direttamente dal reale, come l'orma di un piede o una maschera mortuaria. Mentre un quadro, anche se rispetta i criteri fotografici della rassomiglianza, non fa mai nulla di più che enunciare un'interpretazione, una fotografia non fa mai niente di meno che registrare un'emanazione (onde luminose riflesse da oggetti), un'orma materiale del suo soggetto" (Sulla fotografia, 1973).
E infatti, al centro del suo sesto romanzo, Jonathan Coe colloca la descrizione puntigliosa di venti fotografie (in realtà, alcune sono diapositive e una foto ritrae un quadro: è quindi, in un certo senso, la descrizione di una descrizione) da parte di una narratrice ultrasettantenne, Rosamond, che la detta al microfono di un vecchio registratore a cassette acquistato nel 1970. Quando, però, la nipote Gill e le sue bisnipoti Catharine ed Elizabeth ne ascoltano la voce, Rosamond non esiste più. Una volta conclusa la registrazione (le parole che chiudono l'ultimo nastro non lasciano adito a dubbi sulla volontarietà del suo gesto estremo), ha ingerito un'abnorme quantità di sonniferi, ponendo fine a una vita ormai incrinata dal tedio di esistere. Ma Gill e le ragazze non erano le vere destinatarie dei suoi messaggi vocali né delle sue memorie. I nastri avrebbero dovuto raggiungere Imogen, conosciuta tanti anni prima, quando questa era ancora bambina e le aveva preso il cuore, anche e forse soprattutto perché le percosse che la madre naturale le avevano inferto in un accesso d'ira l'avevano resa cieca all'età di tre anni. Gill si metterà alla non facile ricerca di Imogen, basandosi sulle notizie e sui nomi di persone e luoghi contenuti nei nastri. La troverà, ma non ci sarà lieto fine. Pochi giorni prima di compiere i diciassette anni, la ragazza dal nome shakespeariano (Imogen, si ricorderà, è la soave protagonista del Cimbelino) era morta, investita da un'automobile.
Fra l'inizio e l'epilogo del libro, tragici entrambi e quindi in un certo senso sconsolanti, si distende una storia tutta di donne, che tocca con costante equanimità di giudizi temi complessi, come l'omoerotismo femminile e le trasformazioni radicali intervenute, in Gran Bretagna e nel mondo, entro il tessuto sociale e specificamente familiare negli anni compresi fra il 1938 (è la data della prima fotografia) e il presente nostri. Descrivendo le foto e pur mostrandosi consapevole del carattere sfuggente, enigmatico, di siffatti simulacri ("Che cosa ingannevole può essere una fotografia. Dicono che il ricordo giochi dei brutti tiri. Mai come una fotografia, a mio avviso. E adesso lascia che metta da parte questa fotografia menzognera, chiuda gli occhi, e ripensi a quel giorno"; "So che nelle foto si sorride sempre, ed è per questo che non dovremmo mai fidarci di ciò che ritraggono"), Rosamond descrive se stessa e le persone e gli eventi le cose di cui era fatto il suo mondo: alle persone restituisce la parola, gli oggetti li rende plastici interpretandoli con amoroso rispetto. Colpisce il rilievo dato agli abiti: le fogge delle gonne, le giacche, i maglioni, i cappelli. Eccola rievocare, per esempio, ciò che indossavano il fidanzato Maurice e l'amica Rebecca (ed è con lei che Rosamond, una volta scoperte le proprie tendenze omosessuali, vivrà la più importante storia d'amore della sua vita) in un inverno del 1952. E quindi gli utensili, i mobili, gli elettrodomestici dalle fogge divenute via via obsolete, tutti sopravvissuti come è sempre avvenuto e sempre avverrà ai loro proprietari, ma ripresi con dolente consapevolezza della propria fragilità da una memoria che desidera accoglierli dentro di sé come domestica, quasi tangibile proiezione di uomini e donne che un giorno ebbero respiro: sono le virgiliane lacrime delle cose che si sommano a quelle delle persone.
Ma l'intero racconto, punteggiato com'è di dubbi e di domande che Rosamond si pone su se stessa e su chi le è più vicino, intende anche dimostrare che la memoria e il passato sono dimensioni tutt'altro che inerti: non di rado inattendibile la prima, sempre deformato, il secondo, da ciò che le gioie e le percosse della vita, unendosi al torvo arbitrio della fatalità, hanno fatto di ciascuno di noi nel corso del tempo. Stefano Manferlotti
Jonathan Coe, lo scrittore di Birmingham molto amato anche in Italia per la sua trilogia sugli anni '70-'80 (dalla Famiglia Winshaw a Circolo chiuso, passando per La banda dei brocchi), apre questo suo nuovo romanzo con la scena dei funerali di una donna, zia Rosamond, che si tengono nello Shropshire, in Inghilterra, nei giorni nostri. Alla cerimonia partecipano i nipoti Gill e David, il padre anziano, e con Gill le sue due figlie, Catharine e Elizabeth. La zia Rosamond, che non aveva figli, è morta di cuore e accanto al divano dove si è spenta c'erano un vecchio registratore a cassetta col tasto ancora premuto e degli album di fotografie. La zia Rosamond aveva trascorso tutta la vita con una compagna, Ruth, morta prima di lei, negli anni '90. Aveva lasciato la sua proprietà a tre persone: un terzo ciascuno ai suoi due nipoti, Gill e David, e il rimanente terzo a una ragazza sconosciuta, di nome Imogen.
Imogen è una cugina di secondo grado di Gill, incontrata l'ultima volta al cinquantesimo compleanno della zia Rosamond quando aveva sette anni, ed è non vedente, cieca. I parenti iniziano a cercarla: da internet esce una lista di cinque possibili candidate. Nel frattempo, un flaconcino di Diazepam, svuotato e ritrovato accanto al divano della defunta, fa pensare all'ipotesi di un suicidio. Alle lettere e agli annunci su Imogen giungono risposte negative. E ci sono quei nastri registrati dalla zia che rivelano tutto un mondo sconosciuto ai parenti. Sono quattro cassette da novanta minuti, sei ore d'ascolto nelle quali la calda voce della zia restituisce a Imogen il senso della sua storia e della sua provenienza, la storia della sua famiglia, di Rosamond e della ragazza cieca. Sono venti istantanee narrate, nelle quali la zia svela tutti segreti di famiglia e le vicende dolorose delle case nelle quali Imogen ha vissuto, dall'inverno del 1938 nella periferia di Birmingham, fino ai viottoli dello Shropshire e alla festa per il cinquantesimo compleanno della zia.
Assieme a Gill, ascoltando la voce di Rosamond, il lettore viene coinvolto dalla prosa di Coe nei destini di tre generazioni di donne, dentro a temi spinosi come quelli di una madre che non sa volere bene ai suoi figli o di genitori che si rivelano omosessuali. Ne esce un romanzo corale, una storia intrigante, un elegante intreccio tenero e dolente di apparenti coincidenze, tutto al femminile.
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