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Un altro libro abbandonato. Un italiano curato accompagna una storia melodrammatica il cui vero punto debole, a mio avviso, é la mancanza di sfumature dei personaggi, quel loro stare nella storia in modo credibile e offrendoci di una situazione drammatica tutte le variabili e prospettive. Ho letto, invece una storia che spinge alla commozione e nulla più. Un altro libro premiato che mi rende del tutto diffidente e comunque disinteressata ai premi letterari.
Questo libro è stato per me una delusione e mi è sembrato strano, perché di quest'autrice avevo letto "adesso che sei qui" e mi era piaciuto moltissimo. Leggerò altro per vedere se si tratta di un episodio isolato. Ad ogni buon conto non lo consiglio.
Molto scorrevole.
Recensioni
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Davvero singolare questo romanzo di Mariapia Veladiano, ambientato in una torbida Vicenza attraversata dalle scure acque del Retrone, il cui scorrere fa da sottofondo all'intera vicenda, segnandone anche punti di svolta e partizioni. "Le acque sono richiuse", sono le parole che praticamente chiudono il romanzo, dopo che il lettore e la protagonista Rebecca hanno potuto lanciare il loro sguardo sul fondo melmoso del fiume. Questo scandaglio, da cui si sprigionano miasmi mefitici, viene praticato dall'autrice in punta di piedi: sotto la grigia pietra della città si nascondono segreti indicibili o che tali diventano perché avvolti in un non detto che li rende ancor più angosciosi.
Tare di zoliana memoria, incesti, violenze, omicidi, suicidi vengono allusi o nominati, ma senza alcun compiacimento: è il male consustanziale all'esistere umano, un male permesso da un Dio che si sottrae. "Non ho tesi su Dio, non so se esiste oppure no. Né se sia buono o invece onnipotente. Di sicuro se c'è in alcuni momenti è disperatamente distratto", riflette Rebecca, dopo aver subito un volgare scherzo, in realtà un lancinante oltraggio, da parte dei suoi compagni di scuola. "Mostro peloso", è la succinta reazione dei ragazzi di fronte allo scandalo della bruttezza, quasi un rito apotropaico, crudele e insieme impotente. Qui Veladiano, teologa, sfiora con delicatezza, ma insieme con chiarezza, l'antico tema del deus absconditus, del Dio che si ritrae, come dice Hans Jonas, lasciando compiere il male, ma forse anche lasciando agli individui la loro responsabilità. La chiacchiera cittadina banalizza il male che è anche sofferenza e dolore trasformandolo in pettegolezzo; solo Maddalena, la donna che si occupa di Rebecca e della dimora patrizia della famiglia, una donna che ha sofferto, sa trovare le parole giuste, spesso attinte ai testi sacri. Maddalena "sa", per intuito e per esperienza, come il coro nella tragedia greca.
La vicenda narrata si dipana attorno a Rebecca (il cui nome significa, in ossimorica antitesi con il suo aspetto, "colei che irretisce gli uomini"), bambina di mostruosa bruttezza, nata misteriosamente da due bellissimi genitori. Ma è proprio questa bruttezza, accompagnata da un particolare dono per la musica, a salvarla dall'iniquità quotidiana ("salvare", "dono" sono parole che fanno parte del lessico spirituale, sotto traccia, dell'autrice). Bruttezza che si rivela una sorta di "grazia" amara per la bambina. E attorno allo scandalo della bruttezza (intollerabile non solo per i compagni di scuola, ma per l'odierna società dell'immagine, dove l'"essere" coincide con il patinato apparire mediatico) si posizionano i vari personaggi del romanzo. Rebecca, nel suo accidentato cammino temerariamente affrontato (ab origine accetta i limiti della propria condizione, che in un certo modo le appaiono naturali, o meglio dettati da una legge naturale), incontra rifiuto, dileggio, orrore, ma anche arcane complicità. Trova sempre confidenti e angeli protettori (Maddalena, la maestra, la compagna di banco, la vecchia concertista), quasi irraggiasse un'energia seduttiva. Rebecca rappresenta il perturbante che non è consapevole di essere tale.
Sono quasi sempre angeli femminili quelli che l'accompagnano: l'uomo resta ai margini e, in genere, si rivela impotente, e comunque non all'altezza. Anche il padre amato, dolce ed elegante, non sa essere all'altezza. Il suo peccato la sua ombra è quello dell'omissione, volendo ricorrere alla casistica gesuitica; lascia che le cose avvengano, senza intervenire, senza opporsi, si limita a erigere un diaframma tra la figlia e il mondo: per evitarle di soffrire, è come se dicesse consolatoriamente a se stesso. Rebecca, alla fine del romanzo, si vede riconosciuta come persona (non senza qualche lieve ritocco fisico) in un equilibrio che in realtà ha sempre posseduto, e costituisce con la vecchia compagna di banco e la sua bambina una nuova particolare, ed eversiva, famiglia, tutta al femminile.
L'interesse che ha suscitato questo libro senza sesso e senza esplicita violenza ci interroga. Un libro politico (che scalza la legge del padre, valorizza la "cura" e l'"astuzia" femminili, che sdegna il glamour), senza avere l'apparenza di esserlo, un libro che sfida il gusto mainstream, che pone questioni etiche, senza offrire risposte perentorie. Un romanzo, anche, ricco di personaggi, di storie e di movimento, pur nella sua apparente atemporalità, classicamente composto sullo sfondo di una nobilmente classica Vicenza, ricco di colori e di accensioni sinestetiche. Qualcosa, sicuramente, d'insolito.
La vita accanto ha vinto il Premio Calvino 2010.
Mario Marchetti
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