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Un buon invito alla riflessione, un viaggio affascinante e mai noioso al confine tra letteratura e filosofia della modernità. buona lettura.
Che bel saggio ! Quanti spunti di riflessione e quanti ricordi degli studi liceali ormai lontani! Grazie Scalfari
Premetto che sono un grande ammiratore di Eugenio Scalfari editorialista e scrittore. Non sono sicuro che la tesi che sostiene in questo libro sia del tutto condivisibile (in poche semplici parole: modernità = razionalità, età contemporanea = trionfo dell'irrazionalità). In ogni caso è un testo che vale assolutamente la pena leggere perchè offre numerosi e mai banali spunti di riflessione su molte opere filosofiche e letterarie che hanno segnato gli ultimi 400 anni.
Recensioni
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Chi ha letto e seguito Eugenio Scalfari nel suo lungo percorso attraverso gli ultimi sessant’anni della storia d’Italia, dagli esordi per Il Mondo di Pannunzio all’ultimo saggio, L’uomo che non credeva in Dio, non resterà sorpreso da questa nuova fatica del grande giornalista italiano. Il libro appena dato alle stampe sembra essere il compimento di un’avventura umana e professionale intrisa di grande coerenza intellettuale e morale. Esiste un fil rouge che lega il giovane deputato socialista del ‘68 all’autore (con Giuseppe Turani) del fortunato Razza padrona del ’74, il cofondatore del Partito Radicale nel ’55 al creatore del quotidiano La Repubblica (1976), da lui poi diretto per vent’anni, fino ai saggi di oggi, sempre molto apprezzati dal grande pubblico. Quel filo rosso che tiene insieme la vita e il pensiero di Scalfari è la modernità, intesa come concezione della vita, come linguaggio e stile di scrittura, come un modo di pensare basato sull’autonomia della coscienza e la consapevolezza di se stessi.
Questo libro è proprio un viaggio, per l’alto mare aperto, nel quale Scalfari, novello Odisseo, si fa accompagnare da Denis Diderot, scelto come suo Virgilio, per raccontare quattro secoli di modernità, da Montaigne a Nietzsche. All’autore di Così parlò Zarathustra allude il sottotitolo del saggio: La modernità e il pensiero danzante, perché quella fu anche un’epoca mobile, di flessibilità. Scalfari getta una serie di occhiate su quattrocento anni di cultura europea, di letteratura, filosofia, musica e pittura, per scoprire come si ponessero i singoli autori, filosofi, compositori di fronte ai grandi temi della verità, della tolleranza, dell’assoluto in metafisica, della libertà dell’uomo. Nel filosofo dei Lumi Diderot, scelto come guida, l’autore intravede l’illuminista più spregiudicato e imprevedibile nel quale in parte identificarsi, pur sentendosi allo stesso modo attratto anche da Proust e Rainer Maria Rilke, soprattutto dal Rilke più suggestivo dei Quaderni di Malte Laurids Brigge. Tra l’800 e il ‘900 ci imbattiamo nella figura dirompente di Nietzsche, che chiude l’era della modernità con la sua radicalità, portando all’estremo le premesse dell’Illuminismo: l’abolizione di dio, la negazione di Platone e degli archetipi, la fine dell’idea di assoluto come qualcosa che precede l’umanità. Nietzsche arriva a trasformare il linguaggio e con lui si chiude la tradizione dei saggi, degli Zibaldoni, delle raccolte di pensieri sul mondo, iniziata con Montaigne. In seguito, scrive Scalfari, nel ‘900 sopravvivono ancora alcune isole di modernità nel mare dell’età contemporanea: Italo Calvino e Eugenio Montale vengono accostati al termine di questo viaggio perché entrambi ebbero coscienza della fine di quell’epoca. Montale se ne rendeva conto, quando scriveva: Il varco è qui (…) Ed io non so chi va e chi resta. Quel varco era la fine della modernità, con le sue varianti razionaliste e romantiche, e da quella soglia si usciva nel nuovo mondo, il contemporaneo, pieni di incertezza.
Ha scritto Alberto Asor Rosa, su Repubblica, a proposito di questo libro: «È la forma del viaggio, che dà a questo libro, pur denso nei suoi contenuti, la sua piacevolezza, il suo fascino discorsivo, la sua capacità di comunicazione con il lettore, che ne segue, perfino divertito, lo scorrevole andamento».
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