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Che dire dopo aver letto il monumentale libro di Agnon? Semplicemente: è un capolavoro.
E' davvero una storia particolare. Più che un romanzo è piuttosto un lungo racconto orale; sono frequenti le ripetizioni e le ricapitolazioni, l' uso della prima persona plurale, il linguaggio semplice. La formazione hassidica di Agnon è la base stessa del suo genere di linguaggio, ne costituisce il paradigma, e ricorrono continuamente, come in questo tipo di letteratura, i testi delle preghiere e dei libri ebraici. Eppure c' è qualcosa di più, molto di più. Non è tanto il contrasto tra la laica Giaffa e la pia Gerusalemme, o la differenza tra le due donne Sonia e Shifra. C'è una ironia superiore a tutto ciò. E dell' umorismo. Ed un profondo amore per la natura. E una nostalgia per la giovinezza. In alcuni momenti surreale come la materia stessa dei sogni, come il pensiero stesso. Soprattutto il silenzio del Santo, che sia benedetto."Con il farsi della notte il Santo posiziona ed accende le stelle ad una ad una. E si fa un baffo di tutto.." E altrove: "Dal momento in cui sono scesi in terra promessa i figli di Israele non hanno più visto scendere la manna". Il cane Balac è l' invenzione più bella. Balac non ama la carne fritta nel burro e conosce tutta la Torah a memoria, eppure pensa, dopo aver morso Isacco: "che strano, l' uomo è fatto di una materia speciale, eppure la sua carne non è diversa da quella degli altri animali". Come se la condizione umana sia immensamente più vicina a quella animale che alla ben più luminosa silenziosa e incommensurabilmente lontana condizione divina. Armarsi di coraggio e leggerlo.
Recensioni
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Ora che l'espansione della letteratura israeliana sembra aver raggiunto il suo apice, giunge quanto mai opportuna la traduzione dell'epos originario che l'ha generata. L'operazione è lodevole perché adesso molte cose riusciranno più chiare per i non pochi lettori italiani di narrativa israeliana. Per quanto vincitore di un Nobel (1966) e per quanto alcuni suoi libri abbiano avuto una qualche, seppur minuscola, circolazione in Italia, Agnon è un nome ignoto ai più. Eppure lo si potrebbe ben definire il padre almeno di due dei "tre tenori" della moderna narrativa israeliana. Con l'eccezione di David Grossman, il cui progenitore europeo è certamente Bruno Schulz, sia Amos Oz sia Abraham B. Yehoshua hanno a più riprese sciolto il loro debito di gratitudine verso Agnon: il primo in Una storia di amore e di tenebra (ed. orig. 2002; Feltrinelli, 2003), il secondo, in modo direi quasi cerimonioso, "ufficiale", in una sequenza di La sposa liberata (ed. orig. 2001; Einaudi, 2002) in cui si rende un commosso omaggio alla casa-museo di Agnon. Come si capisce anche leggendo la prefazione a questo libro è stato soprattutto Yehoshua ad aver ereditato l'amore per le vaste tessiture, l'iperdescrittivismo psicologico. La macro-struttura narrativa di questo romanzo di Agnon rende adesso più comprensibile la passione di Yehoshua per le note lunghe e per i ponti a lunga gittata. È stato scritto che Appena ieri sta a Israele come I promessi sposi stanno all'Italia. Più di Manzoni verosimile mi sembra piuttosto il parallelismo con Ippolito Nievo e le "confessioni di un italiano". Il libro racconta infatti una biografia a rovescio: l'arrivo a Giaffa prima e poi a Gerusalemme di Isacco Kumer, galiziano. È un percorso a ritroso dell'io che narra e rievoca il difficile cammino di una integrazione ironica e non fanatica nella nuova società. La sua Pisana ha il doppio volo di Sonia, la donna russa e emancipata che conosce al suo arrivo e l'altrettanto seducente Shifra, figlia di un rabbino ultraortodosso. Come Yehoshua, Agnon pratica una sorta di realismo ideologico, volto a mettere in evidenze le virtù, anche religiose, di una identità nazionale allo stato nascente. In questo il confronto con Manzoni non è campato in aria. Agnon ha saputo raccontare, come nessun altro scrittore del Novecento, l'epos del primo sionismo, il sogno dei primi pionieri sbarcati dalla Galizia a Giaffa all'indomani dei pogrom zaristi mostrando "l'immenso potenziale che possiede l'incontro fra la fede ebraica e l'arte". Non diverso l'itinerario compiuto da Isaac Bashevis Singer con la tradizione del misticismo, prima e dopo l'emigrazione negli Stati Uniti. Nella letteratura ebraica del Novecento Agnon è riuscito a governare il difficile nesso fra l'arte, che esige la libertà espressiva, e la religiosità che, prima dell'emancipazione, osserva sempre Yehoshua, aveva reso possibile soltanto "uno stile di vita rigoroso e delimitato da una disciplina interiore, dove la libertà creativa era limitata". La svolta geniale e anti-realista di Appena ieri avviene verso la metà del libro, quando alla voce narrante di Isacco magicamente si sostituisce la voce di Balac, un cane randagio che diventa coprotagonista. Per assonanza viene da pensare a Buck, il protagonista del Richiamo della foresta di Jack London, ma poiché il romanzo è stato scritto quasi tutto durante il secondo conflitto mondiale, sotto l'incubo del nazionalsocialismo, non si può fare a meno di pensare che il cane rientri nella simbologia negativa della tradizione antica, dominata da scene di ordinaria cinofobia. Al classico simbolo europeo della follia zoomorfa (il cavallo), l'ebraismo centro-europeo contrappone da secoli "il cane matto". Così Agnon ci presenta Balac. Per questo tema nella letteratura jiddish vi sono spunti molto interessanti nel capolavoro di Claudio Magris, Lontano da dove (Einaudi, 1971). Il Talmud è pieno di paragoni ostili al cane, che nella cabala lurianica è inserito negli stuoli satanici. In Italia va ricordata almeno la fobia di Pardo nel Parnas (ed. orig. 1979; Mondadori, 1980) di Silvano Arieti e le ossessioni fobiche di Giorgio Voghera nel Segreto (Einaudi, 1961) e nel Quaderno d'Israele (Scheiwiller, 1967). Nel capolavoro di Agnon l'entrata in scena di Balac rovescia il plot, lo deumanizza e Isacco ci appare alla fine come uno di quegli uomini con teste bestiali di Alberto Savinio. Come per effetto di una rivoluzione mistica il nostro angolo visuale e anche l'epos sionista, sia pure a distanza e con un cannocchiale rovesciato, vengono alla fine del libro sopraffatti da questa folgorante invenzione narrativa. Alberto Cavaglion
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