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Gite scolastiche di due differenti scuole raccontate da un giornalista accodatosi al gruppo
Mi ritrovo in ogni pagina, sia come ex studentessa sia come prof. Credo servano libri come questo per far capire quanto non "così diversi e difficili da comprendere" sono i teenagers di questi giorni.
Il libro mi è stato regalato da mia moglie perchè le sembrava una buffa coincidenza visto che anch'io ho accompagnato tre classi di miei studenti a Praga, ovviamente in tre anni diversi; ma la delusione è stata grande quando, dopo le prime pagine, ci accorgiamo che il libro è stato scritto da qualcuno che con la scuola non c'entra se non che una volta ha studiato anche lui, scrive così così e si permette giudizi lapidari su qualcosa di cui non conosce nulla (tra le tante: i prof. non fanno il programma della gita ma lo ricevono dall'agenzia ... io me lo sono sempre fatto da solo ed anche tanti colleghi). Peccato far affondare una buona idea con una montagna di luoghi comuni e una scrittura da liceale.
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Per questo suo ultimo libro Andrea Bajani ha deciso di sottoporsi a un "calvario volontario": accompagnare in gita scolastica alcune scolaresche di Torino (a Parigi in treno), di Firenze (a Praga in pullman) e di Palermo (di nuovo a Praga, ma in aereo). Il movente: decostruire attraverso la sua testimonianza l'immagine che sociologi e psicologi costruiscono degli adolescenti di oggi, un'immagine intrisa di violenza, di bullismo e di vandalismo, denunciata con toni allarmistici ("Mi sembra parlino di una popolazione dell'Angola, della Birmania o della Namibia, e non dei loro figli"). Ciò che maggiormente disturba l'autore negli interventi pubblici di esperti in problemi dell'adolescenza sono i toni paternalistici ("Aiutiamoli"), che giudica fuori luogo ("A me sembra che chiedano un aiuto umanitario, l'intervento di una Ong internazionale"), e che presuppongono una distanza incolmabile, tra l'altro di incerta opportunità diagnostica, tra "gli adulti" e "questi giovani".
Bajani ha poco più di trent'anni, un'età, oggi, in cui ancora non ci si sente pienamente adulti, né ormai pienamente giovani. È dunque un osservatore partecipante in bilico tra due mondi. Eppure anche lui, come gli esperti di cui disapprova il piglio paternalistico, percepisce una certa distanza tra la propria generazione e la generazione di coloro che oggi sono adolescenti. La sua bella penna, che non teme "parolacce" né scorrettezze linguistiche volutamente abbandonate sulla carta (rivelando così molta complicità con l'universo giovanile), ammalia il lettore nelle anse di un racconto che si sviluppa arricchendosi di dettagli, osservazioni e riflessioni personali, ma non lo guida direttamente dove l'autore vorrebbe arrivare, cioè a spiegarsi e a spiegare proprio la natura di quella distanza che un trentenne può percepire tra sé e gli adolescenti. In un passo del testo suggerisce soltanto che la tecnologia, di cui i giovani fanno amplissimo uso e spensierato abuso, produce visibilità mediatica alle loro bravate, che un tempo pure si facevano, ma che rimanevano nel cono d'ombra della vita privata, mentre oggi si trasformano in "provini per il tg della sera", mostrati come segnali certi di un grave problema generale di ordine pubblico. Siccome Bajani non osserva comportamenti aggressivi nelle scolaresche in gita, perviene alla conclusione che siamo semplicemente incapaci di vedere le deformazioni prodotte dai filtri e dalle amplificazioni mediatiche: altrimenti, capiremmo di avere di fronte una generazione assolutamente "normale", date le caratteristiche di quella "fase odiosa della vita" che è l'adolescenza.
Si può essere d'accordo o dissentire con la tesi di fondo di Bajani. Da un lato, è difficile non condividere il suo fastidio per la diffusa tendenza a produrre generalizzazioni da pochi casi (alcuni dei quali, senza dubbio, gravissimi, altri un po' meno allarmanti). Dall'altro, però, bisognerebbe soffermarsi a riflettere anche sul fatto che foto e filmati prodotti (anche, ma non solo) da adolescenti (con i contenuti più vari, non solo episodi di violenza), siano dai medesimi trasferiti su YouTube, o più in generale su Internet. Forse, è proprio il desiderio di esporre informazioni e immagini private alla curiosità e alla mercé di un pubblico vastissimo, alla massa senza volto di tutti gli altri utenti, ciò che andrebbe capito e valutato: un modo sempre più diffuso non solo tra i giovanissimi di rispondere al desiderio di esibirsi e un tentativo, di incerta efficacia, di combattere i sentimenti della noia e della solitudine, rendendosi "visibili" di fronte a un pubblico anonimo. Fiammetta Corradi
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