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L'argomento non è facile, la Seconda Guerra Mondiale e i suoi orrori, ma è raccontato da un punto di vista diverso e questo permette spunti di riflessione interessanti...ma la storia risulta troppo prolissa, si dilunga troppo senza fare dei veri passi avanti, e con un continuo ripetersi troppi termini "tecnici" che appesantiscono troppo il racconto...
Libro letto con crescente disagio sino a raggiungere il livello di enorme disagio, vuoi per la sgradevolezza dei temi trattati, del protagonista (cosa che certo non mi ha più di tanto colto di sorpresa) ma anche a causa del linguaggio assai ricercato, direi sfociante nell'auto-compiacimento adottato dall'autore. Scambiato con un molto più semplice e gradevole "Le lacrime della giraffa" ed il bellissimo "Il prigioniero del cielo" del compianto Zafon.
Ho trovato questo libro molto interessante e coinvolgente, durante la lunga lettura sono stato nello stesso tempo vittima e carnefice, è stato come partecipare in prima persona agli eventi provando le sensazioni di entrambi. Un quadro storico descritto con attenzione e scrupolo che mi ha impressionato e stimolato, per quanto mi riguarda tra i migliori romanzi del genere.
Recensioni
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La voce che ascoltiamo leggendo questo romanzo è quella di un anziano direttore di una fabbrica di merletti. Maximilian Aue è sposato, ha due figli gemelli, vive nel nord della Francia e normalmente, dalla vetrata del suo ufficio, ascolta il rumore dei telai. Questo rumore di fondo, il ritmo della produzione che ha scandito la sua vita dalla fine della guerra, è anche il suono che percorre tutto il romanzo. Intitolati con i nomi dei vari balli, Toccata, Sarabanda, Minuetto, proprio come in una danza macabra e cinica, i capitoli del libro seguono la cronologia dei ricordi di Max Aue, facendoci addentrare nel mezzo della Seconda guerra mondiale.
Di madre francese e padre alsaziano, Aue è un ufficiale delle SS. Laureato in giurisprudenza, prima della guerra lavorava come archivista per il servizio di sicurezza della polizia del Führer, ma con l'apertura del fronte sovietico viene destinato a incarichi operativi, prima per redigere rapporti per i vertici del Reich e poi per collaborare all'organizzazione dello sterminio ebreo. Alla fine della guerra Aue riuscirà ad abbandonare Berlino in fiamme e a raggiungere la Francia, dove, grazie alla conoscenza della lingua e alla doppia cittadinanza, inizierà una nuova vita senza destare alcun sospetto.
L'epilogo della vicenda, l'impunità di questo gerarca che riesce a farla franca nonostante le atrocità commesse, ispira il titolo del romanzo: Le Benevole (in lingua originale Les Bienvieillants). Si tratta delle mitiche Eumenidi, cantate da Eschilo nell'Orestea, che si contrappongono alle Erinni (le divinità della vendetta) e proteggono Oreste dalla furia degli dei nonostante il matricidio di Clitennestra. Sono proprio le Benevole ad essere invocate alla fine del romanzo, quando Aue riesce a sfuggire alle ritorsioni naziste, ai bombardamenti alleati e anche ai giudici di Norimberga. Sono queste strane divinità, in grado di proteggere anche coloro che si sono macchiati dei crimini più efferati, a spingerci fino alla fine del romanzo senza riuscire ad odiare o a disprezzare il protagonista.
Maximilian Aue è un personaggio estremamente complesso. Omosessuale, innamorato segretamente di sua sorella gemella, odia sua madre (che una notte troverà assassinata insieme al suo compagno) e partecipa alla più grande strage della storia. L'ufficiale, durante la guerra, osserva e spiega, riporta gli episodi più raccapriccianti compiuti dai suoi colleghi e superiori nei confronti di ebrei, comunisti, zingari e omosessuali. Giudica le perversioni degli altri, ma non trascura le sue, non nasconde assolutamente niente delle sue pulsioni più segrete. In ogni pagina emergono nuovi personaggi che gli ruotano intorno creando un affresco sempre colorito e vario, eppure in nessuna circostanza il lettore è portato ad assumere una posizione netta.
Jonathan Littell descrive un uomo banale, ma non la banalità del male: il male di cui ci parla è estremamente complesso. Questa storia è costellata da burocrati che, come giustamente ha affermato Hannah Arendt, sono davvero convinti di stare eseguendo solo degli ordini, ma anche da sadici che torturano le loro vittime per provare piacere. Alcuni dei carnefici possono rifiutare di eseguire gli ordini e dimostrare compassione, altri si trovano costretti a guardare scene raccapriccianti per poi vomitare nelle loro camerate, o ubriacarsi, o suicidarsi. Nel romanzo di Littell c'è tutto questo, un intero universo di uomini in guerra che perseguono il male con i mezzi che hanno a disposizione, con maggiore o minore potere, con maggiore o minore cattiveria, con la loro umanità.
è un libro che demolisce lo stereotipo del nazista deliberatamente crudele, così come quello dell'esecutore acritico e meccanico della volontà del Führer cui è assoggettato. Ci restituisce un uomo che sorride di fronte al compagno fanatico, vede la morte di troppi ebrei come un problema cui far fronte, si interroga sull'opportunità di alcune decisioni e teme per la sua vita.
Maximilian Aue non è un invasato, è solo, banalmente, un nazista razionale, un uomo che gioca la sua parte in una guerra. Un uomo normale e reale. Quello che non vorremmo vedere, che è sotto gli occhi di tutti, che Jonathan Littell ha portato alla luce. Alla fine del romanzo, scritto con una prosa ricca e scorrevole, denso di descrizioni, citazioni colte, piacevoli divagazioni psicologiche e sociologiche, non si può non pensare all'interrogativo che molti anni fa Primo Levi si pose a proposito degli ebrei martoriati nei campi di sterminio. La stessa domanda è sottesa alla conclusione di questo romanzo, "è questo un uomo?"… La risposta probabilmente è "Sì".
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