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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2010
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Il titolo ci avvisa che qui siamo già di fronte a un libro irripetibile. In una Buenos Aires fatata, che a metà libro farà da teatro a un incontro memorabile, un giovane passa in rassegna la propria vita e il rapporto con una ragazza originale. Particolarissimo anche il "Rapporto sui ciechi", che ricorda Dostoevskij e non a caso viene venduto a parte, come accadeva per "Il grande inquisitore". Uno dei frutti più gustosi di quell'albero sempreverde che è la letteratura sudamericana.
Il capolavoro del grande autore argentino, opera avvolgente, mistica, politica, esistenzialista, ed inquietante. Da solo il romanzo nel romanzo "Il rapporto sui ciechi", vale il prezzo del biglietto, sembra scritto e pensato da uno come Lovecraft. Eros e thanatos, cospirazioni infernali ai danni dell'umanita', una setta di ciechi che governa il mondo da dietro le quinte, una delle migliori opere di tutta la letteratura argentina novecentesca.
“Sopra eroi e tombe” è un’opera complessa dai molteplici contrapposti temi: amore e morte, realtà e apparenza, tutto permeato di una tragica ambiguità. Né si può dire che vi sia un solo protagonista intorno al quale si dipana la storia. Siamo di fronte a personaggi di grande rilievo e spessore, ciascuno dei quali rappresenta una metafora della vita e della realtà. Il più semplice è certamente Martin che si trova ad affrontare tuttavia personalità enigmatiche, talvolta incomprensibili quali Alejandra o Fernando. Proprio questi ultimi due personaggi sono in effetti la chiave del romanzo, nella misura in cui essi rappresentano il lato oscuro della vita, la tragica irrisolta speranza di sedare le inquietudini e la disperazione. Alejandra è luce e ombra allo stesso tempo, proprio come la vita, ella è infatti la metafora stessa della vita. La sua ambiguità la rende irraggiungibile agli occhi di Martin che soffre terribilmente, consapevole di non potere avere la sua anima e risolvere le sue angosce. Fernando è personaggio ancora più complesso, egli rappresenta la disperata ricerca dell’uomo di un mondo migliore, senza tuttavia riuscire a interagire con un mondo mercificato e globalizzato. La sua è una vera discesa agli inferi, con lo scopo di trovare una sintesi tra bene e male, e ricreare un sentimento di speranza. È buio il mondo dominante in cui agisce Fernando, come è buio il mondo stesso di Sabato, è lo stesso buio in cui sono immersi i ciechi. Ogni valore si è dissolto, la ragione si è smarrita. Fernando cerca di cambiare la realtà, ma sprofonda nell’abiezione e nella trasgressione estrema. Il suo mondo è popolato delle paure che egli coltiva dentro di sé. La complessità del romanzo non si limita tuttavia ai suoi contenuti, esso è infatti un insieme di diversi generi, dal romanzo sentimentale al gotico, alla satira sociale, al resoconto storico-politico.
Recensioni
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"Sebbene abbia un solo dorso, un libro possiede cento volti": è una frase che Julio Cortàzar attribuisce a Nâser-e Khosrow, "nato in Persia nel XI secolo", ed è un buon viatico per avvicinare Sopra eroi e tombe, il secondo e più grande romanzo di Ernesto Sábato, ora riproposto da Einaudi con una densa prefazione di Ernesto Franco e in una nuova traduzione (la precedente, di Fausta Leoni, era passata da Feltrinelli, 1965 e 1975, a Editori Riuniti, 1987 e 1997). In Prima della fine (Einaudi, 2000), che intrecciava i fili dell'autobiografia a quelli di una senile e un poco generica complainte sui destini del pianeta e della civiltà, Sábato avvertiva all'inizio il lettore: "Dio, se esiste, dev'essere mascherato", a significare che l'incandescente materia dei suoi romanzi non era passibile di un'esegesi biografica, che la vera vita abitava tra le pieghe delle finzioni e delle parole e non tra quelle dell'esistenza. Ben più crudele è la teodicea che leggiamo nel Rapporto sui ciechi, terzo terribile capitolo di Sopra eroi e tombe: "Dio è un povero diavolo, alle prese con un problema troppo complicato per le sue forze. Lotta con la materia come un artista con la propria opera. Qualche volta, in qualche momento, riesce ad essere Goya, ma generalmente è un disastro". Ecco, Sopra eroi e tombe, che assume di volta in volta le sembianze di storia d'amore e di conte philosophique, di poema in prosa e di romanzo di costume, di narrazione epica e di pamphlet letterario, non è che la cronaca di uno dei disastri di Dio, e delle vittime e dei reduci.
Che sia un disastro ci viene detto sin dalla primissima pagina, nella tragica conclusione che aggredisce il lettore ad apertura di libro: la protagonista femminile, l'evanescente oscura e splendida Alejandra, si è suicidata ardendosi viva dopo aver ucciso il padre Fernando Vidal Olmos con quattro colpi di pistola. Tra gli effetti personali di Fernando viene scoperto un manoscritto intitolato Rapporto sui ciechi, da cui "è possibile ricavare ipotesi che getterebbero una luce particolare sul delitto e che, caduta l'ipotesi di un gesto di follia, favorirebbero un'ipotesi ancora più truce". Nei primi due capitoli si snoda la storia dell'amore tormentato, inafferrabile e dissestato, tra Alejandra e l'attonito ma risoluto Martín: come la Nadja di André Breton (amico di Sábato, che fu tra i surrealisti parigini negli anni trenta), la ragazza è sensibile e magnetica, l'antenna di un sismografo che misura terremoti psichici di inaudita violenza. Martín e Alejandra sono i giovani che in Prima della fine Sábato definirà "eredi di un abisso": la similitudine si fa reale quando conosciamo i genitori dei ragazzi, la "madrefogna" di Martín e la galleria di freaks dell'anima che condivide con Alejandra le stanze dell'enorme, antico Belvedere, dove un secolo di storia argentina, di eroismi e di massacri scricchiola tra le pareti in attesa del fuoco. Insieme e intorno a loro vive una pletora di personaggi che paiono abitanti di una Babele immaginaria, dove la torre è crollata ma ancora si parla la lingua franca dei muratori superstiti: un impasto di toni e cadenze che deve aver fatto disperare il traduttore Jaime Riera Rehren, tra violinisti e camionisti, politica e campionati di calcio, pettegolezzi teatrali e discussioni letterarie. Vi compare anche Jorge Luis Borges in persona, amato e detestato da Sábato: se nelle pagine autobiografiche e in quelle saggistiche lo scrittore non perderà occasione di accarezzare in contropelo i metafisici arabeschi dell'autore di Finzioni, in Sopra eroi e tombe ce ne restituisce un icastico ritratto difficile da dimenticare:"Il viso pareva fosse stato disegnato e poi mezzo cancellato con una gomma. Balbettava". Quella Babele è ovviamente Buenos Aires, ma è soprattutto una metropoli del sogno e della memoria. Fa sorridere dunque la premura dell'editore, che al romanzo premette una mappa dei quartieri in cui le vicende si svolgono: come l'isola del baleniere Queequeg in Moby Dick, la Buenos Aires di Sábato "non era segnata su nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai".
Come il luogo, anche il tempo del romanzo trascolora subito in una dimensione interiore: tutto è narrato a giochi fatti, quando consummatum est, ma allo stesso tempo è presente nel ricordo e nel racconto di Bruno, letterato amico dei due giovani e del padre di lei nonché trasparente alter ego di Sábato. Ad amplificare questa sensazione di caleidoscopio, in cui ogni personaggio e ogni gesto e parola hanno un senso solo nel gioco di rifrazioni e distorsioni che fanno eco e modulano la materia del romanzo, Sopra eroi e tombe contiene, distillato e rischiarato in una tenebrosa luce di complotto, il primo romanzo di Sábato, Il tunnel (1948; Einaudi, 2001), e sarà a sua volta contenuto nel terzo capitolo della trilogia, il meno riuscito L'angelo dell'abisso (1974; Rizzoli, 1977), dove alcuni degli eroi sopravvissuti alle tombe ritorneranno per confrontarsi con l'Apocalisse e con lo stesso Sábato, che da narratore si sdoppia in personaggio.
A questo gioco di rimandi, cornici e specchi deformanti sfugge il Rapporto sui ciechi, che sta "come un monolito" al centro del romanzo. Nella sua compattezza agghiacciante, il Rapporto è la mappa dettagliata di una strada per l'inferno lastricata di pessime intenzioni: lo smascheramento del complotto ordito dai ciechi per governare il mondo "mediante gli incubi e le allucinazioni, le pesti e le streghe, gli indovini e gli uccelli, le serpi e, in generale, tutti i mostri delle tenebre e delle caverne". La scrittura si fa affilata e tagliente, la voce di Fernando Vidal Olmos riempie di sé la pagina incendiando e riducendo in cenere le tessiture polifoniche del romanzo, l'ironia si fa ghigno spietato, l'elegia diviene invettiva. Ernesto Franco, nella prefazione, lo avvicina fascinosamente, a "un pianeta Kafka compreso in un universo Dostoevskij", ma altre e più atroci letture vengono alla mente.
È come se Céline dirigesse uno spartito di Lovecraft, come se, ben oltre il termine della notte, il contemptor mundi di Bagatelle per un massacro guardasse in faccia i responsabili della vacherie cosmica ed eterna, e scoprisse che i loro lineamenti sono quelli di una razza preumana, progenie di Chtulhu esiliata nei sotterranei e tra le ombre di Buenos Aires. Molti sono i ricordi céliniani, come il protagonista, che legge soltanto più "la pubblicità e la cronaca nera" (mentre per Céline era "la pubblicità e i necrologi
sai quel che la gente vuole e sai che sono morti
Basta!"). Céliniano è anche lo humour del Rapporto, uno humour che solo per difetto possiamo definire nerissimo; e degna del Céline "chroniqueur des Grands-Guignols" è la terribile traversata della legione Lavalle, impegnata a scortare in Bolivia il corpo in putrefazione del generale che l'ha guidata. Molte sono poi le citazioni, quasi palmari, da Lovecraft, ma anche dal Poe del Gordon Pym, dall'Arthur Machen di Il gran dio Pan (secondo il quale, come per Sábato, "i gerarchi dell'inferno passano inosservati tra di noi"), dal William Hope Hodgson di La casa sull'abisso. Quanto peso quella letteratura visionaria e fantastica abbia avuto nella cultura argentina può confermarlo la Vita di Edgar Allan Poe di Cortàzar (Le Lettere, 2004), ma anche il racconto di Borges There are more things (in Il libro di sabbia, Rizzoli, 1975), dedicato alla memoria di Lovecraft. Ci si potrebbe arrischiare a pensare che il complotto ultraumano sia divenuto una sorta di Genius loci, se l'incantato flâneur del mondo intero Bruce Chatwin incontrerà In Patagonia (Adelphi 1982) la temibile Brujeria, evidente emanazione della setta dei ciechi che finirà con il perdere Fernando Vidal Olmos e forse il mondo intero. Il Creatore, sembra dirci lo gnostico Sábato, è un re atroce: e non solo per le istanze dell'anagramma.
Luca Bianco
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