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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2007
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Il libro interessante di Schiavone mi spinge ad un interrogativo. che spero che qualcuno mi possa chiarire, lascio il mio email apposta. Che cosa effettivamente si conosce di quella parte dell'uomo che Konrad Lorenz definisce: " L'altra faccia dello specchio " ossia, l'apparato centrale, dove ci sono le basi filogenetiche ed evoluzioniste della nostra conoscenza? Ed è questo apparato il luogo privilegiato per un intervento tecnico - biologico, teso non solo al miglioramento della vita umana, ma anche come spinta propulsiva per la creazione di una vita umana superiore? Grazie
Io l'ho trovato un libro molto stimolante. Conciso, certo, ma forse non c'era molto da aggiungere: l'essere umano si trova nel punto più ambiguo della sua storia. Sta per conoscere qualcosa di terribile oppure bellissimo. L'autore ci spiega, nella sua analisi, cosa potrebbe essere questo 'destino bellissimo'.
Un'interessante lettura,anche se credo che all'interno non ci siano chissà quali spunti di riflessione.Basta osservare ciò che ci circonda,i comportamenti,il disagio sentito sempre più intensamente dagli uomini che abitano questo mondo,per arrivare ad un'analisi simile.Certo,Schiavone ha scritto il libro! Se nel complesso della lettura trovo un'affinità di visione con quella dell'autore,devo però ammettere che alcune riflessioni da lui sviluppate(anzi,poco sviluppate,considerando la dimensione del libretto che Schiavone definisce "più leggero di una foglia") non mi convincono del tutto.Una,in particolare,è la dimensione del sentimento e delle emozioni(dell'uomo presente che vive in un "tempo accellerato")che non viene considerata.Siamo davvero convinti che sia possibile scindere l'intelligenza dalla natura,e soprattutto non valutarla nella propria estensione più soggettiva,quella del sentimento,della passione,in una parola:dell'animo umano?E com'è possibile parlare di un "nuovo umanesimo" se l'uomo non è considerato nella propria totalità? Un secondo aspetto cruciale affrontato nel testo è quello "dell'accrescimento della potenza dell'umano".Questa potenza si dirige verso l'infinito:l'uomo è oggi in cammino su quella strada che gli permetterà di sfondare le barriere della propria limitatezza,del proprio essere finito.Vero! ma a mio parere è necessario distinguere due piani:l'uomo come singolarità e l'uomo come specie.La specie si prolunga oltre il finito,il singolo ha la sua tappa finale e non solo per natura ma per forza di cose.Se ipotiziamo, come dice Schiavone,che le novità bio-ingegneristiche aiuteranno a prolungare la vita dell'uomo oltre natura (ci sbarazzeremo dell'insufficienza di quel corpo sempre mal sopportato),è anche vero però che quella vita si troverà a fare i conti con i limiti psicologici emotivi e di coscienza che la propria natura impone.Il salto che l'uomo dovrà compiere sarà quindi enorme perché il "tempo accellerato"(o ristretto)sia adeguato a rendere l'uomo stabile in una nuova identità.
Recensioni
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Lo stimolante saggio ruota attorno a un problema che così possiamo riassumere: dalla fase della "profondità del tempo", quando modifiche, evoluzioni, scomparse e nascite di specie animali o vegetali si diluivano lungo milioni di anni, si è passati, nell'ultimo secolo, a contare i mutamenti in decenni. Il tempo lo percepiamo azzardiamo proprio perché è veloce? E procedendo sempre per azzardi lo problematizziamo appunto perché lo percepiamo come velocità? Fatto sta che una delle conseguenze è che, se le scienze naturali scoprono la storia, constatando un ordine naturale "in continuo mutamento", la storia per dire meglio: il nostro pensarci come sensazioni e azioni che rivendicano qualche radice è sparita. La storia "ama nascondersi"; e ciò può anche provocare sofferenza, se si è consapevoli che "nella vicenda della vita, come dovunque nell'universo, tutto rimane sempre comprensibile sul piano della sola storia". E tuttavia sempre azzardando l'azzeramento della storia è ormai un dato epocale. Verrebbe anzi da osservare che caratteristica essenziale della postmodernità è quella di non pensarsi come storia, a fronte di una modernità che si pensava come rottura storica, guardando con commiserazione al passato. A noi sembra una petizione di principio la domanda di Schiavone di una tecnica che "ha bisogno dell'etica". Verrebbe da osservare, in compagnia di Monsieur de La Palice, che la tecnica è tale perché non ha etica; e che dunque difficile, almeno per ora, si presenta la strada per "la fondazione di un'antropologia culturale, politica e morale dell'uomo antropologico". E poi: se la tecnica ha bisogno di un'etica, questa di chi o di che cosa ha bisogno per essere definita? Considerato che "siamo confinati su un pianeta", e che avremmo anche potuto non esserci, perché "nulla ci autorizza a interpretare la nostra presenza come il realizzarsi di un progetto consapevole", almeno procediamo a tentoni, certi che la coscienza è sempre una tragedia. Francesco Germinario
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