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Illegibile. L'autore, nonostante l'argomento interessante, i numerosi dati forniti e le idee proposte, argomenta in maniera noiosa e ripetitiva. Il risultato è un tomo di oltre 500 pagine dove in ogni capitolo si ripete numerose volte lo stesso concetto, stancando il lettore e rendendo illegibile il testo che, con un'opportuna sintesi, poteva essere ridotto a non più di 200 pagine.
08/06/2007 Ho trovato questo libro molto interessante, per il coraggio nello scrivere chiaramente di temi che andrebbero detti e ribattuti tutti i giorni, al contrario di quanto ci viene propinato al telegiornale... A cosa serve continuare a ripetere che il riscaldamento globale incombe, quando poi non si fa praticamente nulla di veramente concreto per rimediare... Illuminante, da leggere. Non vedo l'ora di procurarmi anche "Armi, acciaio, malattie".
concordo con Federico. Io ho "divorato" armi, acciaio e malattie" e ho ricavato da quel libro idee e nozioni che proprio non avevo. da "collasso" non saprei che trarre. ho trovato troppo lunga e noiosa la prima parte su chi non c'è piu'.....troppo veloce, senza idee o riflessioni degne di nota e non scontate la parte centrale su chi c'è ancora (si salva un po' la australia e un po la cina). L'ultima parte poi mi è sembrata un po' alla "vogliamoci bene, che ce la facciamo....forse". nelle ultime 100 pagine non ho trovato una sola idea notevole (...e pensare che il nostro Mario Capanna - quello di DP - non lo considerano....eppure leggete il suo ultimo libro...almeno li' c'è un entusiasmo notevole). 24 euro che si potrebbero spendere meglio. si riesce comunque a leggere, ma alla fine la domanda resta: "cui prodest?"
Recensioni
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Non c'è illusione più tremenda di questa che viviamo noi occidentali benestanti in quella parte minoritaria del mondo che definiamo più avanzata e più sviluppata. Qui, nei nostri rifugi, sembra che le risorse e l'energia del pianeta possano durare molto a lungo, se non per sempre; qui da noi non ci si preoccupa affatto di sprecare energia, acqua, cibo o merci, perché tanto ce ne saranno in abbondanza anche domani. Dalle nostre parti si pensa - quando ci sentiamo proprio munifici - che il nostro livello di vita potrà essere comodamente esportato anche dove altri esseri umani stanno morendo letteralmente di sete o di fame. Che è solo una questione di tempo, di tecnologie innovative, di progresso scientifico e culturale, al limite, di buona volontà, ma che, prima o poi, il tenore di vita medio aumenterà nei paesi in via di sviluppo e che non ci saranno conseguenze per l'ambiente o per le società del pianeta. Questa illusione è frutto di un tragico errore di prospettiva, le cui ragioni sono scandagliate a fondo da Jared Diamond in un libro immancabile che suscita continue domande, ma che ha il pregio di fornire anche alcune risposte.
Dopo essere stati investiti dagli ambientalisti scettici - che ci mancavano allo stesso modo degli atei devoti - e dovendo ogni giorno combattere una battaglia estenuante contro i luoghi comuni e l'ignoranza nel campo della storia naturale, Collasso pone una pietra miliare che non potrà essere ignorata. Diamond ci costringe a pensare che il mondo di oggi è il nostro polder e che è minacciato seriamente dalla distruzione degli habitat naturali attraverso la deforestazione, la distruzione delle barriere coralline e l'eliminazione delle zone umide (ma non erano da glorificare le bonifiche?). Che stiamo rapidamente esaurendo le risorse materiali ed energetiche perché ci siamo sempre comportati come se fossero infinite e che non sappiamo gestire bene neanche quelle rinnovabili, a partire da quelle ittiche, per non parlare delle foreste e dell'acqua. Che distruggiamo la biodiversità del pianeta a un ritmo impressionante e che ci giustifichiamo paragonando l'insetto al fondamentale ruolo che invece avrebbe l'essere umano: quante volte si rimprovera di scegliere il panda piuttosto che il bambino, senza comprendere che tutte le specie naturali selvatiche - anche quelle apparentemente inutili (aggettivo di cui mi sfugge il significato) - forniscono servizi impossibili da ottenere per altra via. Che perdiamo suolo utile ignorando che per formarne qualche centimetro ci vogliono secoli o che inquiniamo le acque e rubiamo tutta l'energia che il sole mette a disposizione per la fotosintesi. Che l'inquinamento industriale fa soprattutto male a noi e che la terra continuerà a vivere egregiamente anche dopo che l'ultimo essere umano sarà morto avvelenato. Che provochiamo un cambiamento climatico magari non dissimile da quelli del passato, però a una velocità insopportabile per il pianeta. Che la popolazione umana aumenta senza limiti, ma che soprattutto cresce continuamente il nostro impatto sull'ambiente e che ciò è dovuto essenzialmente all'aumento degli standard di vita nel Terzo Mondo.
È un'illusione che nessuno vuole disvelare: questo pianeta non può garantire a tutta la popolazione umana gli stessi livelli di benessere delle nazioni più avanzate, per il semplice fatto che la terra hanno smesso di crearla da un bel po'. Basterebbe che i cinesi raggiungessero gli standard di vita statunitensi per raddoppiare l'impatto ambientale degli umani, ma oggi stesso, non domani. Come a dire che da noi possiamo permetterci due automobili a testa solo perché altri venti individui vanno in bicicletta, che possiamo consumare bistecche solo perché altri muoiono di fame e che - in definitiva - respiriamo bene perché qualcun altro boccheggia. Diamond sostiene che la crescita dell'uomo moderno non è più tollerabile, con buona pace della famosa espressione ossimorica "sviluppo sostenibile": se questo equivale al consumo non ci sarà alcuno sviluppo sostenibile e tutte le bombe a orologeria prima menzionate esploderanno. Ma - si sente dire - le preoccupazioni ambientali sarebbero un lusso, dimenticando che, in realtà, un ambiente danneggiato costa già enormi somme di denaro, molto maggiori di quelle che occorrono per prendersene cura. Oppure che la tecnologia risolverà i nostri problemi, quando da sempre ne produce molti di più di quelli che non risolve: per quale ragione da domani dovrebbe funzionare meglio?
È che continuiamo a giudicare il nostro benessere dall'ammontare del conto in banca, tralasciando di rendere conto delle spese, e dimenticando la lezione delle antiche civiltà declinate improvvisamente al loro apogeo. In più si rimproverano gli ambientalisti di fare allarmismo, come se si dovesse abolire il corpo dei vigili del fuoco solo perché quell'anno non si sono verificati incendi o perché alcune chiamate si sono rivelate falsi allarmi. Oppure ai paesi del Terzo Mondo di non fare abbastanza in termini di salvaguardia ambientale, come se i gravi problemi ecologici del pianeta non avessero un nome e un cognome ben precisi. Scrive alla fine Diamond: "Ridurre il nostro stile di vita spontaneamente è inverosimile, ma è nello stesso tempo la soluzione meno irrealistica fra tutte le altre che prevedono la nostra sopravvivenza". Non più sviluppo, ma decrescita sostenibile, insomma, che solo a nominarla qualsiasi economista viene preso da orticaria.
Il riesame delle civiltà del passato e dei tanti casi di collasso imprevisto - insieme ai pochi casi di successo - permette a Diamond una prospettiva temporale profonda e ricca, dai Maya al futuro, stendendo il medesimo lunghissimo filo del rapporto malsano di Homo sapiens con il mondo naturale, non trascurando i fattori economici, sociali e psicologici, ma riconducendo al rapporto con il sistema terra l'origine vera dei mali dell'umanità. Qual è in fondo la vera differenza fra gli animali non umani e noi? La domanda non viene posta esplicitamente in Collasso , ma traspare da tutte le righe del libro, tanto che viene il dubbio se la risposta sia stata data per scontata o volutamente sottaciuta. Che nessuna società animale ha mai fatto - in quattro miliardi e mezzo di anni, si sia trattato di batteri o dinosauri - del profitto la propria ragione di esistenza. In natura non esiste capitalismo, e le popolazioni animali che si mettono in contrasto con il pianeta non vengono premiate dall'ambiente e trovano un freno nei vincoli naturali. In natura non c'è altro che selezione naturale e sopravvivenza del più adatto - che ci piaccia o no - e tutti hanno coscienza o istinto del limite delle risorse: non c'è accumulo in natura, se non per la stretta necessità stagionale. L'illusione che noi umani potremmo sfuggire a questa legge è solo la più pericolosa che possiamo coltivare.
Mario Tozzi
Docente di fisiologia e di geografia all'università della California, Jared Diamond è un ornitologo che osserva la storia passata e recente dell'umanità con una visione che unisce, sulla scia di Darwin, l'osservazione dei comportamenti degli animali alle riflessioni sulle società umane. Già con Armi, acciaio e malattie, che gli valse il Pulitzer nel 1998 e un clamoroso successo di vendite, Diamond ha infranto la storica separazione tra la cultura umanistica e quella scientifica. Lì analizzava fenomeni diversi fra loro come l'addomesticamento del cavallo, la selezione del mais o l'evolversi delle infezioni. In questa sua nuova opera, Collasso, l'esploratore di specie rare di uccelli, che vive in un perenne nomadismo geografico e culturale, si interroga sul perché una società ricca e potente scompaia. Studia i rischi dell'"ecocidio" e di quei fattori che hanno portato all'estinzione di tante specie animali e vegetali e di antiche società.
Dalle costruzioni dei Maya sommerse dalla giungla, alle gigantesche figure dell'Isola di Pasqua, fino alla ben più recente estinzione dei norvegesi in Groenlandia nel 1450, Collasso tratta i meccanismi che condussero le società umane di piccole o grandi dimensioni, ad auto-distruggersi, a crollare, per i danni ambientali e per il sovrappopolamento. Fra gli esempi analizzati dallo studioso, viene privilegiato il caso del Montana, una società rissosa e isolata nel nord-ovest degli States, una zona culturalmente disagiata e disseminata di miniere d'oro. Ma nella lettura di Diamond c'è spazio anche per la fine dell'impero romano, o per lo studio di società che si sono impoverite nel giro di un secolo come il Ruanda, o Haiti (seppur confinante con la Repubblica Dominicana).
La parte più originale del libro resta quella sulle cause fisiche e sociali che hanno determinato la scomparsa di intere popolazioni. Per Diamond vanno ricercate nello sfruttamento eccessivo dell'ambiente e nel ruolo delle popolazioni nemiche e bellicose che risiedevano nelle zone circostanti (visione decisamente darwiniana). Vi è poi l'analisi di un fattore spesso trascurato, ovvero la rottura di un equilibrio sociale, i cambiamenti nelle regole istituzionali di una popolazione che dovrebbero evitarne l'estinzione. La novità del registro stilistico di Diamond è che fonde dati classici dell'archeologia e dati meno noti della paleo-botanica e riesce, ad esempio, a ricostruire dai pollini pietrificati l'andamento delle comunità forestali via via devastate nel tempo.
Etologo, ecologista, figura cult della generazione che sfila nelle piazze convinta che "un altro mondo è possibile", Diamond racconta una fiaba dal finale incerto, dove i cattivi sono anche le onde lunghe e rapide dei collassi economici e dei rischi sanitari, e punta il dito sul solipsismo delle caste che decidono per tutti gli altri, come quei sovrani Maya rinserrati nelle loro regge che non si accorgevano dell'erosione del suolo perché non avevano modo di affacciarsi da una molto plebea finestra. Una riuscita galleria di ecocidi, monito per un'umanità ogni giorno più informata, ma forse per questo anche miope e immemore delle sciagure sociali del passato.
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