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Condivido quanto scritto sopra: non e' un libro per cominciare a conoscere, tramite le lenti della letteratura, il mondo cinese contemporaneo. La Cina potrebbe sembrare un mondo di folli tanto quanto il Portogallo un paese di ciechi (per i fan di Saramago). Pero' c'e' anche questo, c'e' sicuramente anche questo e, per chi ne avesse il coraggio, e' un nodo da affrontare, pima o poi. Il disagio e' fortissimo, in un paese che ha trascorso due secoli e mezzo "folli", dopo millenni di relativa routine. Le nuove generazioni sono completamente estraniate, lontane come lo siamo noi dalle formiche, dal passato sinico piu' autentico e tradizionale. Gran libro.
Molto forti e toccanti i racconti, mi hanno evocato sentimenti contastanti, divisi tra la rabbia contro l'impotenza dei protagonisti e la riflessione sui precedenti storico culturali che hanno reso possibilie tutto ciò. Ve lo consiglio sicuramente, ma non come primo approccio alla letteratura contemporanea cinese. Meglio cominciare da Sorgo Rosso di Mo Yan.
Recensioni
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YU HUA, Vivere
YU HUA, Torture
recensione di Stafutti, S., L'Indice 1998, n. 7
Nato nel 1960 nella provincia meridionale dello Zhijiang - la cui afosa e opprimente umidità sembra ancora fisicamente presente nelle pagine di "Torture" -, Yu Hua è uno scrittore di grande interesse tra le voci nuove della Cina contemporanea.È in qualche modo già noto al pubblico italiano: nel 1994, infatti, compariva sugli schermi la riduzione cinematografica di "Vivere", per la regia di Zhang Yimou, film meno fortunato di altri dello stesso Zhang, eppure opera di grande intensità e dolorosa testimonianza di attaccamento al proprio paese - ciò che la censura cinese, ottusa come ogni altra censura, parve proprio non capire. Il romanzo è, semplicemente, molto bello, e l'apparente banalità dell'aggettivo lo definisce con la stessa spoglia essenzialità che ne caratterizza il ritmo narrativo; la traduzione, una delle migliori dal cinese comparse in questi anni, certamente contribuisce a potenziare il vigore del racconto. Esso ha il sapore di un'"epopea dei perdenti": Fu Gui, il protagonista, narra in prima persona la propria storia a un giovane che aveva ottenuto "un bel lavoro da scansafatiche" e girava le campagne a raccogliere ballate popolari. Dalla Cina prerepubblicana agli anni ottanta: disgrazie, dolore, morte, ma anche piccole gioie quotidiane, contro tutto, nonostante tutto. Un inno alla vita placido nonostante la drammaticità del racconto, placido come il bufalo al quale, oramai alla fine dei suoi giorni, il protagonista decide di attribuire il suo stesso nome, ribadendo più o meno consapevolmente il sentimento tutto cinese di una sostanziale compenetrazione tra tutti gli elementi dell'universo. A Maria Rita Masci non soltanto va attribuito il merito di avere imposto la letteratura cinese contemporanea, a partire dagli anni ottanta, a un pubblico italiano pressoché ignaro, ma altresì l'acuta sensibilità e la viva attenzione nei confronti dei fenomeni più nuovi e interessanti di questa letteratura. I quattro racconti raccolti in "Torture" sono, in questo senso, estremamente significativi di una letteratura "estrema" che già in Mo Yan dà le prime, evidenti avvisaglie di sé. Yu Hua, figlio di un'infermiera e di un medico, vissuto per tutti gli anni dell'infanzia a ridosso di un ospedale, con la finestra della sua stanza che guardava alla camera ardente, attribuisce a elementi meramente biografici la sua consuetudine con il sangue, con le carni slabbrate, con il dolore, ma è difficile non considerare questi dati autobiografici come metafora per significare la dimestichezza con il dolore in una dimensione quasi universale di tragedia collettiva talmente devastante da ottundere la coscienza e i sensi. "1986", forse il più duro dei racconti, ricorda l'implacabile crudeltà del vojvodino Aleksandar Tisÿma in "Scuola di empietà" (e/o, 1988): là il perseguitato ritorna, dopo la Rivoluzione Culturale, ma è vecchio e pazzo oramai, non riconosce la moglie né lei lo riconosce, ultima beffa di un'inutile sofferenza; qui il carnefice suggella nell'urlo: "Grazie, Dio mio! Tu non esisti" la vittoria della bestialità sull'uomo. In entrambi i casi, se vogliamo, possiamo sperare in un sussulto delle coscienze, ma di questo Yu Hua non parla...
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