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Antologia capolavoro, peccato non sia da tempo piu' disponibile, un caleidoscopio di visioni di eccelsa qualita', da Poe a Swift, un addentrarsi nei cunicoli piu' tortuosi della grande letteratura. Un vero e proprio manifesto narrativo.
Recensioni
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recensione di Violato, G., L'Indice 1996, n. 5
Nel centenario della nascita di Breton, la riproposta in edizione italiana dell'"Antologia dello humour nero" assume un valore di bilancio. A tornare in primo piano, del capofila del surrealismo, non è n‚ lo sperimentalismo n‚ l'automatismo, e neppure il progetto, fondato sulla lezione congiunta di Marx e Rimbaud, di trasformare il mondo e cambiare la vita, bensì l'attenzione per un atteggiamento che è certo liberatorio, ma soprattutto di difesa contro le avversità del reale.
Sullo humour si discute ampiamente nei primi decenni del Novecento, anche all'interno delle avanguardie. È però nella situazione di malessere provocata dalla grande guerra che Breton comincia a interessarsene, e a seguito dell'incontro a Nantes nel 1916 di Jacques Vaché, singolare personaggioper cui lo humour - o, secondo la sua grafia, l'"umour", senza h - coincideva con "una sensazione, forse un senso, dell'inutilità teatrale (e senza gioia) di tutto". È inoltre negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale che viene messo a punto il progetto dell'Antologia, la cui edizione, datata giugno 1940, si vede rifiutato il visto dalla censura di Vichy ed è messa in circolazione a guerra terminata. Nella prefazione Breton indicherà come precursori il Baudelaire del "Saggio sul riso" e il Rimbaud del tardo poema "Rˆve" o, tra i pensatori, Hegel e Freud. Lo humour d'altra parte - ribattezzato "nero" in ossequio a quel romanzo che aveva da tempo attirato l'interesse surrealista - si rivelerà un contenitore abbastanza ampio perché trovino posto nell'antologia comportamenti e scritti diversi; quasi sempre legati, però, a realtà collettive, oltre che individuali, inaccettabili. Così, ad esempio, alla battuta feroce di Swift, contrapposto a Voltaire e riconosciuto come iniziatore, verranno accostate non solo le contraddizioni di Lichtenberg, ma la mistificazione di Sade e le stravaganze di Fourier, risposte, entrambe, al parziale fallimento della Rivoluzione francese.Al diritto a uccidere del bandito Lacenaire, il quale inaugura con De Quincey lo humour nero dell'Ottocento, seguiranno - dopo le rivoluzioni mancate del '30 e del '48 - la provocazione di Pétrus Borel e il dandismo di Baudelaire; o - per gli anni successivi al '70 e alla Comune - la sfida al buon senso di Villiers e l'abdicazione di Lautréamont a qualsiasi forma di logica o di morale, la filosofia amara di Cros e il cattivo gusto di Corbière. Quanto al Novecento, che si apre con il Lafcadio di Gide e la rivoltella puntata di Jarry, sarà la débƒcle della grande guerra a suscitare l'indifferenza di Vaché e il metaforico suicidio all'occhiello di Rigaut, la volontà di scandalo di Picabia e l'insulto di Cravan; così come, fra i testi, le contrepèteries di Duchamp e i giochi di parole di Péret. Dopo il '40 compariranno anche due donne, Leonora Carrington e Gisèle Prassinos.
Curato da Paola Dècina Lombardi, cui si deve fra l'altro l'articolata introduzione, il volume si chiude con due scritti di Breton finora inediti in Italia. Nel più pertinente, "La confessione sdegnosa" (1923), viene rievocato Vaché e ne è tracciato un primo incisivo ritratto.
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