L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Promo attive (1)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
È uno dei libri più belli che abbia mai letto. Non avevo mai letto libri di questo autore, ora penso li leggerò tutti. Mai pesante, mai volgare ma assolutamente vero. Si entra nei pensieri intimi dei protagonisti, soprattutto di Orah, è attraverso di lei che viviamo la storia. Una madre con i suoi difetti, i suoi timori, il suo amore ci guida in un cammino di vita. Ho amato ogni pagina. Consigliato.
Amo il modo sublime in cui Grossman scrive e questo libro in particolare mi è rimasto nel cuore. Ho seguito pagina dopo pagina crescere l'ansia e la preoccupazione di una madre Orah, donna separata, in pena per uno dei due figli, Ofer che sta svolgendo il servizio militare ed accetta di partecipare ad un'incursione nonostante manchino pochi giorni alla fine del suo servizio. Non vi resterà difficile affezionarvi e sentire quanta pena ed ansia prova questa madre su cui aleggia un cattivo presentimento sulla sorte del figlio...
E' primo libro di Grossman che leggo, e la sua maestria è innegabile: le 780 pagine (1145 nella versione "piccola" mondadori) le ho lette in 8 giorni di vacanza al mare, in cui sono stata praticamente assorbita. Il finale è spiazzate, anche se la pagina finale dell'autore ti porta a rivedere tutto sotto nuova luce e struggerti immensamente. Tuttavia, resta sottile la domanda: per ottenere questo effetto, non poteva interrompersi, che so, a 300 pagine? Non perché non siano godibili, ma perché aumentano l'aspettativa di un finale col botto che, lasciatemelo dire, non c'è. In ogni caso, mi sono innamorata del suo stile e cercherò altro di suo.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Migliaia di attimi, di ore, di giorni, milioni di azioni, un'infinità di gesti, di tentativi, di sbagli, di parole e di pensieri. E tutto per fare un unico uomo al mondo (…) Un unico uomo che è così facile distruggere. 'Scrivilo'. E lui scrisse".
Le molteplici trame di questo romanzo sono intrecciate a partire dall'idea antica che l'esercizio della narrazione possa tenere in vita un uomo in pericolo di vita. Nel contesto israeliano si tratta di Ofer, un soldato che partecipa a un'operazione militare proprio sul filo del congedo definitivo dall'esercito. La madre di Ofer, Orah, è la Sherazade di questo lungo racconto che ha trovato una tragica eco nel post scriptum di Grossman. Qui l'autore spiega come era stato suo desiderio che questo libro proteggesse il figlio minore Uri, allora soldato di leva, poi invece ucciso nelle ultime ore della seconda guerra del Libano. Per quanto la maggior parte del testo fosse già stata scritta prima di questo tragico evento, non si riesce a sfuggire all'impressione di partecipare – anche se attraverso la mediazione della pagina scritta – a un dramma che è doppiamente crudele: da un lato, una minuziosa narrazione letteraria è tragicamente straripata nella realtà; dall'altro, le poche, sobrie parole con cui la realtà viene descritta la sospingono indietro verso la narrazione. Se Uri è infatti scomparso, di Ofer rimane un ritratto ricco e dettagliato che lo terrà eternamente in vita: non sapremo mai se il nostro protagonista tornerà dalla sua missione. La vicenda di Ofer occupa un posto centrale nell'economia del libro; essa rappresenta tuttavia un modo per avvicinarsi alle questioni che più premono al suo autore, in che modo la famiglia sia una cassa di risonanza della storia di Israele e come l'intimità di una famiglia venga violata dalla violenza e dalla brutalità che la guerra irradia.
Orah, Ilan e Avram – i tre adulti di questa storia – si sono incontrati da adolescenti nel corso di una guerra, la guerra dei Sei Giorni (1967). Ricoverati in ospedale in isolamento nella più assoluta oscurità, in quel contesto crepuscolare i tre si innamorano rimanendo legati per tutta la vita in un triangolo di amore e di amicizia. Durante quell'incontro giovanile sarà Avram a dare luce al loro rapporto e a tenerli uniti. Ma quando lo ritroveremo da adulto, la scintilla creatrice di Avram è ormai spenta, soffocata da un'altra guerra, la guerra del Kippur (1973), in cui Avram viene preso prigioniero e torturato a lungo, e a seguito della quale vorrà cessare di vivere. Simbolo (quasi) vivente di quello che potrebbe accadere alla società israeliana, Avram sembra impersonare l'invito urgente che Grossman ha già rivolto al proprio paese: "Fermatevi un momento, guardate l'orlo del baratro, pensate a quanto siamo vicini a perdere quello che abbiamo creato" (Con gli occhi del nemico, Mondadori, 2007). Anche i due figli di Orah – Adam e Ofer – sono avvolti dalla guerra: cinque soli giorni hanno separato la fine della leva di uno dall'arruolamento dell'altro ed entrambi hanno prestato servizio nei Territori occupati, "sorbendosi tutte le porcherie dell'occupazione".
Chi ha tenuto unita per lungo tempo questa famiglia allargata e ormai disfatta è Orah, madre dei due ragazzi e moglie due volte abbandonata di Ilan. Orah è una donna che fugge (così come recita il titolo del romanzo in ebraico) con un Avram sconfitto nel corpo e nell'anima, sopraffatto dal trauma della propria prigionia. Insieme percorrono a piedi una parte di un sentiero che si snoda per tutto il paese, a partire dal nord "dove finisce Israele", da quella Galilea dove ebbe invece inizio la storia del sionismo ai primi del Novecento e che, per loro, sarebbe stato "l'inizio di una vera e completa guarigione". È un sentiero immerso in una natura bella e generosa che solo apparentemente è apolitica. Da un lato l'eternità di fiumi e monti rivela quanto sia vacua l'illusione di potersene appropriare da parte di chi si contende quella terra. Dall'altro, tuttavia, questi stessi fiumi e montagne incorniciano un paesaggio che porta i segni della guerra, che è costellato di piccole lapidi, di tombe e monumenti funerari ai caduti, e di rovine di vecchi villaggi arabi.
Ed è in questo contesto che il personaggio di Orah si apre attraverso il suo racconto della vita di Ofer, dal momento in cui è stato concepito fino al giorno in cui è partito per la missione, in un difficile equilibrio tra il terrore di ricevere la notizia della sua morte e la speranza di poter fermare il corso degli eventi non facendosi trovare per riceverla. Ma Orah non è solo una donna in fuga; è soprattutto la celebrazione della forza di una maternità che sfida la morte, quella temuta del figlio e quella psichica di Avram; è la personificazione della sovversione, quando si ribella all'intrusione della guerra nella sua famiglia e alla "nazionalizzazione" del figlio; è il dubbio che si insinua, quando si interroga su come abbia potuto ubbidire alla coreografia con cui ha consegnato suo figlio ai reggimenti dell'esercito con una misurata compostezza anticipatrice di lutti; è una contestatrice che considera "tutta quella situazione (…) un errore madornale, irrimediabile". Orah è più leale al figlio che allo stato, ma non ha posizioni politiche stabilite, non è di destra né di sinistra. È tuttavia guidata da una salda e profonda moralità che le impedisce di ignorare che anche Ofer gioca un ruolo nell'occupazione. E se il conflitto le ha "nazionalizzato" il figlio, Orah lo trasforma in una nuova sfida privata con la morte, percorrendo Gerusalemme più volte al giorno sull'autobus n. 18, il più vulnerabile della Seconda Intifada.
Questo libro lascia poco spazio a due categorie di personaggi: ai palestinesi e ad altri personaggi femminili. Tuttavia, se la scrittura è l'opposto della guerra, così come Grossman ha più volte ripetuto in numerose interviste (poiché combatte quella generalizzazione dell'altro che invece la guerra impone), i palestinesi che compaiono in questo romanzo sono tutti ben definiti, con una loro storia, con dei sentimenti: Sami il tassista, il gruppetto familiare in cui Orah e Avram si imbattono nel corso del loro cammino e con cui condividono il pasto, il vecchio palestinese letteralmente dimenticato per due giorni in una cella frigorifero durante un'operazione militare. Con le loro sfumature e contraddizioni, i dialoghi e gli incontri tra israeliani e palestinesi sottolineano l'importanza del rapporto umano che la guerra invece cancella, con il suo mantenere l'altro in una necessaria condizione di anonimità.
Nella sua complessità, Orah non concede alcuno spazio ad altri personaggi femminili: Talia, la fidanzata di Ofer, viene appena menzionata nel contesto della separazione dei due giovani; anche la compagna di Avram, Neta – che ricorda alla lontana Tamar, la protagonista di Qualcuno con cui correre (Mondadori, 2002) – dopo poco scompare. Orah riassume infatti in sé diverse figure di donna: per Adam e Ofer è la madre; per Ilan è la moglie; per Sami è la moglie del Signor Ilan. Solo per Avram Orah è tutto: è la ragazza di cui si è innamorato quando aveva sedici anni, è la musa dei drammi radiofonici che scriveva con Ilan dopo che i tre erano stati dimessi dall'ospedale, è colei che lo ha curato quando è tornato dall'Egitto. Assieme, Orah e Avram sono rinchiusi in una bolla che rappresenta il mondo reale e quello fantastico che essi stessi hanno creato, e che provano a proteggere nel corso del loro lungo cammino reale e metaforico; un percorso svolto in voluto isolamento.
In un paese che si sta spegnendo per il protrarsi di "una disputa infinita", di cui nessuno può più "dire qualcosa di originale" o "proporre una soluzione nuova (…) non già sentita", la famiglia non è quindi solo la cassa di risonanza del conflitto; essa sembra essere anche l'unico e l'ultimo rifugio per arrestare la "maledizione" di una guerra che si trasmette "di generazione in generazione". In questo contesto, la narrazione della storia della famiglia estesa di Orah, Ilan e Avram, che era cominciata per salvare Ofer, si trasforma in "un discorso funebre" per la famiglia che Orah "aveva avuto e che non sarebbe stata mai più"; quasi una punizione degli antichi dei per chi era riuscito a tenersi "fuori il più possibile da questa maledetta mischia", a "vivere felice per vent'anni" compresi "i sei in cui i ragazzi sono stati nell'esercito", per chi era stato "una cellula clandestina in mezzo a questo pandemonio". Fino al momento in cui anche chi aveva pensato di essere riuscito a rimanere vivo, è stato invece catturato.
Marcella Simoni
L'amore che riemerge dalle macerie di un Paese perennemente in conflitto, in cui non esiste la pace, ma solo una temporanea parentesi tra una guerra e l'altra. Come un'eco lontana, una voce chiara e distinta attraversa il flusso della memoria. è la voce di una madre, Orah, che ripercorre gli anni intensi della sua vita, dall'adolescenza al tragico giorno in cui deve accompagnare suo figlio Ofer al fronte. Come ferma su una soglia, Orah giunge al confine con la Cisgiordania, dove il ragazzo è stato inviato per una missione, e in quel momento decide di rompere tutti i contatti con il mondo, di spegnere il telefono cellulare e di intraprendere un lungo pellegrinaggio a piedi in Galilea. Tutto con l'unico intento di rendersi irreperibile nel caso in cui le autorità israeliane avessero dovuto comunicarle la morte di suo figlio.
Il titolo originale di questo struggente ed epico romanzo di David Grossman suona più o meno come "Una donna in fuga dalla notizia", o meglio "dall'annuncio", visto che il termine utilizzato si riferisce a qualcosa di ufficiale e definitivo. Nella traduzione italiana il titolo è tratto da un verso de Il Cantico dei Cantici (2,9), che gioca sul significato del nome di Ofer, che in ebraico significa "cerbiatto", ma che effettivamente non dà abbastanza risalto alla prospettiva che Grossman ha voluto offrirci mettendo in primo piano il flusso dei pensieri di una madre atterrita dall'idea di poter perdere suo figlio.
La vita di Orah, dall'incontro con i suoi due amici Ilan e Avram in un ospedale all'età di sedici anni, al matrimonio con il primo, alla perdita del secondo dopo la cattura sul fronte egiziano, fino al divorzio e al pellegrinaggio in Galilea, rappresenta tutta la diaspora del popolo di Israele, il suo rientro in patria, l'eterno conflitto. Rappresenta la memoria di una terra sprofondata nell'angoscia di una fine imminente. Ma è anche la voce interiore dello stesso Grossman che, durante la stesura del romanzo nel 2006, ha perso suo figlio Uri in una battaglia in Libano. è un libro che conserva tra le sue righe tutta la paura dell'uomo di fronte allo spettacolo della morte, ma anche l'estrema speranza di una vita che eternamente ritorna e si rigenera. Un romanzo in grado di dilatarsi all'infinito, come il tempo che descrive, ma anche di concentrarsi sul singolo istante, su ogni emozione, su un'esistenza che si rannicchia su se stessa. Pagine cariche di un'intimità intensa e profonda, un libro impegnativo, da leggersi con la consapevolezza di chi, alla fine della lettura, sarà una persona diversa.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore