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Con le feroci stragi di mafia del 1992, si abbatté sull’Italia un pericolo gravissimo: diventare uno stato-mafia, un narco-stato di tipo colombiano, dominato da un’organizzazione criminale spietata come “Cosa nostra”. Per fortuna, con il concorso di tutti (istituzioni, società civile, forze dell’ordine e magistratura), invece di precipitare in un abisso senza fondo, il nostro paese è riuscito a resistere. In questa “resistenza”, decisiva è stata la sequenza continua di arresti di boss latitanti che ha caratterizzato la risposta dello stato nel periodo successivo alle morti di Falcone a Capaci e di Borsellino in via d’Amelio. Niente di simile è mai successo in nessuna fase di contrasto del crimine organizzato. Per numero di mafiosi arrestati e loro caratura criminale si è battuto ogni record: Riina, Bagarella, i Brusca, Aglieri, i Graviano, i Ganci, Vitale, Grigoli, Romeo, Spatuzza e tanti, tanti altri ancora. Merito dell’impegno di tutti, con una segnalazione particolare per un magistrato della Procura di Palermo, Alfonso Sabella. Grazie a eccezionali doti investigative, intrecciando intelligenza, dedizione e tenacia, Sabella ha avuto un ruolo decisivo nel coordinare le forze di polizia e nel condurle a positivi risultati in moltissime delle catture dei boss latitanti più pericolosi.
Nel libro Cacciatore di mafiosi (scritto con Silvia Resta e Franceso Vitale), Alfonso Sabella rievoca la sua straordinaria esperienza. Non si tratta di un saggio né di un romanzo. Piuttosto di un libro d’azione, dove la realtà viene raccontata – in maniera avvincente, da togliere il fiato – come fosse il soggetto di un film di ottimo livello. Tecniche di indagine sofisticate, impiego di tecnologie d’avanguardia, intuito, pazienza e testardaggine, capacità di pianificare gli interventi e di modificarli “in corsa” a seconda degli eventi, ricorso a espedienti di grande “fantasia” ed efficacia, scommesse azzardate spesso vincenti, abilità e fortuna: sono gli ingredienti che in ogni episodio raccontato da Sabella mescolano thrilling-suspanse-azione con ritmi sempre di straordinaria intensità e con interessanti spaccati sulla vita dei mafiosi: vizi pubblici e privati, “qualità” criminali, tic maniaci, donne regolari e non.
Sul piano investigativo-giudiziario, le tante catture si accompagnano alla slavina di “pentimenti” e all’infinità di condanne (fra cui 650 ergastoli) che segnano la stagione del dopo stragi. “Cosa nostra” era ridotta in un angolo. Sembrava fatta. Invece, quando le indagini si indirizzarono anche sulla parte “in ombra” del pianeta mafia, sulle complicità che sono il perno della potenza mafiosa, pur di scongiurare il salto qualitativo nell’azione di contrasto di “Cosa nostra”, consistenti settori dello stato hanno accettato di perdere una guerra che si sarebbe potuto vincere. A tal fine si è inscenato un osceno processo alla stagione giudiziaria del dopo stragi, deliberatamente cancellando proprio gli imponenti risultati che si erano ottenuti e che ora il libro di Sabella racconta.
Perché questo osceno processo? Salvatore Lupo sostiene che i risultati nel contrasto alla mafia sono stati ottenuti da una minoranza (di persone delle istituzioni, della politica e della società) e che, arrivati a un certo punto, l’isolamento si indirizza non verso la mafia, ma verso chi cerca di combatterla: ciò perché c’è una “richiesta di mafia” in settori dell’imprenditoria e della politica, del sistema finanziario ed economico. Questa analisi costituisce un saldo punto di partenza per meglio apprezzare un altro bellissimo libro: L’oro della camorra, scritto da Rosaria Capacchione, una giornalista del “Mattino” di Napoli costretta da tempo a vivere sotto scorta a causa delle minacce di morte ricevute dalla camorra per il suo coraggio nel denunziare con sistematica precisione il vero volto della criminalità organizzata campana.
Mentre nella periferia napoletana scorre il sangue (in un groviglio di cemento e monnezza, tragedia e terrore, fabbriche in nero e droga), altrove ci sono i tavoli degli investimenti economici e i risvolti finanziari della camorra. Il libro di Capacchione è la storia di boss (Michele Zagaria, Francesco Bidognetti, Antonio Iovine, Francesco Schiavone) che sono diventati manager. In ampie zone del Centro e del Nord Italia, l’economia camorristica trionfa e fattura capitali enormi, falsando il libero mercato grazie al “plusvalore criminale” di cui può godere. L’economia illegale pian piano risucchia nel suo gorgo commerci, imprese e forze economiche sane (che spesso incontrano enormi difficoltà nel costruire le loro sorti sul rispetto delle pratiche legali): così inesorabilmente avanza e si espande, come un’onda che si insinua dovunque. Il libro testimonia tutto ciò con straordinaria evidenza e ricchezza di dati. A fronte di un’economia illegale vincente, troppo spesso lo stato dà l’impressione di non combattere con sufficiente energia una battaglia che si potrebbe invece vincere. Qui il libro di Capacchione si sovrappone a quello di Sabella: e l’uno e l’altro sono tenuti insieme dalla tesi di Lupo sulla presenza – nel nostro paese – di una “richiesta di mafia”.
Gian Carlo Caselli
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