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Mi dispiace tantissimo, ma non sono rimasta per niente soddisfatta da questa lettura. Come hanno evidenziato molte altre persone prima di me, anch’io penso che lo stile di scrittura di Margaret Mazzantini abbia veramente appesantito TROPPO tutta la storia, dall’inizio alla fine, e stiamo parlando di 529 pagine, non un numero proprio indifferente. Io non credo proprio che per raccontare una storia così intrisa di DOLORE, si doveva fare un uso spropositato di descrizioni e metafore che già a pag. 100 ti viene voglia di mollare e passare ad altro. Non avevo ancora letto nulla di questa autrice, quindi non potevo sapere che la sua prosa il più delle volte stanca, esaurisce il lettore, e non senza imbarazzo. Avrei fatto volentieri a meno di leggere anche che ad Aska fanno schifo Madonna e Michael Jackson. O meglio, forse avrei preferito che si argomentassero i motivi di questo disgusto. La mia insegnante di danza moderna era fan di entrambi e quindi ha cresciuto me e tutte le sue allieve a suon di CD di Madonna e Michael Jackson, perciò leggere in un libro che fanno schifo… avrei preferito farne a meno, ecco. Sono sempre stata convinta del fatto che parlare con le persone, spiegare alle persone il perché di questa o di quella cosa, sia la base fondamentale per cercare di raccontarsi e di creare qualcosa di solido, di stabile. E penso che soprattutto in un libro, il compito dell’autore sia spiegare, raccontare, non buttare delle cose così a casaccio e poi lasciarle lì a macerare lasciando il lettore perplesso, con mille dubbi. Questo libro ha anche delle cose belle, questo ci tengo a dirlo, però se per tutta la durata della lettura ti ritrovi a chiederti perché il libro è stato scritto in questo modo… mi dispiace, ma per me TUTTO è stato davvero TROPPO, TROPPO.
Concordo nel dire che è un bel libro, sinceramente più adatto ad un pubblico femminile ma alla fine si legge volentieri. 100-150 pagine in meno e avrei dato 5 stelle
uno dei primi libri che ho letto...forse il modo in cui è scritto è abbastanza semplice, ma la storia è commovente e rimane impressa...credo sia un libro accessibile a tutti, non è pesante anche se molto duro in certi passaggi....inoltre fa molto riflettere....ci sono anche sprazzi di ironia che alleggeriscono il tutto...
Recensioni
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In questo romanzo di oltre cinquecento pagine ci sono passi come questo: “Da questa collina gli sniper sparavano, giocavano con le loro vittime, colpivano una mano, un piede… Alcuni miravano ai testicoli, a una tetta, avevano tutto il tempo di uccidere, così prima si divertivano un po'. Per me era come sparare sui conigli, disse uno di loro in un'intervista. Non si sentiva colpevole, non capiva nemmeno perché ci fosse tutto quell'interesse intorno a lui, non era pazzo o sadico o altro. Aveva semplicemente perso il senso della vita. La pietà muore insieme al primo che uccidi. Era morto anche lui, per questo sorrideva. Sulla via del ritorno chiamo Giuliano. Cammino incollata al cellulare con un dito nell'altro orecchio, perché adesso c'è traffico, puzza, rumore. 'Amore'. 'Amore'”.
La scelta del passo non è casuale. In una dozzina di righe si parla di amore e di pietà, del senso della vita e di morte. La sintassi è rapida, e intanto la lingua impiegata non si priva di studiato eccesso nell'aggettivazione. Dandone conto su “La Repubblica”, Franco Marcoaldi ha parlato di “coraggiosa generosità”; che è una maniera, a sua volta generosa, per indicare lo sconcerto che il not so common reader può provare di fronte a una prosa del genere. Questo è forse uno dei punti di questo libro, il più ampio nella produzione di Mazzantini. Qui non ci si rivolge all'utenza, peraltro in diminuzione, dei lettori colti. La scrittrice romana sembra pensare a un pubblico più vasto, quello magari dei due milioni di lettori che si appassionarono a Non ti muovere, con cui vinse lo Strega or sono sei anni. A questo, che è davvero il lettore comune, vanno a genio i temi grandi: quelli letti nel breve estratto citato sopra e quello di tutta la produzione di Mazzantini, che è la maternità.
Di maternità e, più in genere, di genitorialità si occupa molta narrativa italiana di successo degli ultimi tempi, gli ultimi esempi essendo, per esempio, Niccolò Ammaniti e Paolo Giordano (ma anche il grotesque appena di Alessandro Piperno, o l'iperrealismo maritale di Tullio Avoledo). Rispetto a tutti costoro, Mazzantini presenta una differenza evidente: è donna e madre. A questo si affianca un altro dato di realtà: la presenza nella sua vita di un padre come Carlo Mazzantini, personaggio simbolico di una storia d'Italia tuttora irrisolta. E in Venuto al mondo Mazzantini parla proprio di maternità e di storia.
Gemma è una cinquantenne romana che, all'inizio del romanzo, riceve una telefonata da Sarajevo. È Gojko, amico bosniaco conosciuto nel 1984, ai tempi dell'Olimpiade invernale. Lì si sta allestendo, dice Gojko, una “mostra per ricordare l'assedio” (testuale), e nella mostra ci sono foto di Diego, primo marito e grande amore di Gemma, oltre che padre di Pietro, suo unico figlio, e compagno sulle prime giustamente scettico di questo viaggio a ritroso nella vita della madre. La storia fra la giovane studentessa italiana e il fotografo slavo è un colpo di fulmine cui si sovrappongono intanto gli eventi della guerra, poi il conseguente bisogno di fuga, infine la sterilità di lei – e insieme la necessità di essere madre. Esperito ogni sorta di tentativo, Gemma ricorre alla soluzione più cruenta che possa immaginarsi per una donna desiderosa di maternità: fa concepire suo figlio a un'altra donna, che si accoppia al marito. Si chiama Aska, è una trombettista punk di Sarajevo tanto più tragica in quanto, paradosso della scrittura d'invenzione, del tutto inverosimile. Siccome Mazzantini frequenta anche i territori del mélo, la madre per procura viene retribuita e la coppia torna a Roma, ma Diego non sopporta il rientro alla normalità. La guerra è diventata un'esigenza e Gemma, moglie fedele, non può non seguire il suo uomo. Diego, sarà inutile aggiungerlo, muore, e il romanzo si chiude su un gruppo di famiglia in un interno, con Giuliano (nuovo compagno di vita) e Pietro, il figlio di un desiderio forse colpevole.
Come si vede, il romanzo è affollato di temi e di persone: perché Mazzantini ha un buon talento nel rendere l'umanità degli uomini e delle donne che racconta. Il sospetto che ci sia troppo di tutto, in questo libro più ancora che negli altri precedenti, sembra lecito. Non di meno, il lettore di mestiere noterà che questo racconto sovreccitato, carico di allegorie transitive, personae fictae in cui non è tuttavia impossibile una qualche identificazione e immagini anche crudeli, continua a piacere.
Giovanni Choukhadarian
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