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Forse, il più grande poeta contemporaneo. questo libro è davvero meraviglioso, c'è una luce che graffia le cose e le lascia sospese nel tempo... come un segno percepito in sogno. sempre mirabile e ineccepibile la traduzione di Damiano Abeni.
Geniale. Come parlare del nostro occidente condannato senza farsene accorgere. Leggete ad esempio, nella minuscola "Ascensore", dell'uomo che sceso fino in fondo insistentemente dice "Io non vado su, io vado giù". Siamo proprio noi, testardi ed egotistici fino alla rovina. Un classico.
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Uomo e cammello è l'undicesima raccolta di poesie di Mark Strand, nato in Canada nel 1934 ma statunitense per formazione e cultura. Il volume, uscito lo scorso anno negli Stati Uniti, è stato prontamente tradotto da Damiano Abeni nello "Specchio" Mondadori. Alla fedeltà traduttiva di Abeni (fedeltà da intendersi non come categoria valutativa del tradurre, peraltro insensata, ma come dedizione nel tempo a un autore) si deve in gran parte la diffusione dell'opera di Strand in Italia, a cominciare dalla prima raccolta antologica apparsa da Donzelli (L'inizio di una sedia, 1999), fino al recente Il futuro non è più quello di una volta (minimum fax, 2006). Sempre di Abeni è l'opportuna traduzione di un volumetto di scritti dedicati a Edward Hopper (Donzelli, 2003) che mostra, ancora una volta, quanto possa essere feconda la critica di un poeta all'opera di un pittore. Strand, d'altronde, non è solo uno dei più importanti poeti americani, come attestano numerosi riconoscimenti, dal Pulitzer alla nomina a poeta "laureato", ma è anche acuto e brillante saggista, capace di affrontare con professionalità temi disparati come la traduzione letteraria o la fotografia (e la sua raccolta di saggi Weather of words potrebbe essere un'altra opera da proporre in italiano).
Noto è anche il suo stretto rapporto con la pratica delle arti figurative. Allievo all'accademia, abbandonata per la poesia, Strand ha utilizzato il talento per le arti sia indirettamente come abilità nella creazione di surreali immaginazioni poetiche, sia direttamente illustrando alcuni dei suoi libri. La copertina di Blizzard of One, la sua raccolta più famosa, riproduce un suo coloratissimo collage. In bianco e nero (penna a sfera su tela) è invece la curiosa copertina di Uomo e cammello. Si vede lo schizzo di un cammello che guarda dietro di sé, forse verso l'uomo, in giacca e cappello, con le mani in tasca, in piedi sotto un arco che apre, sullo sfondo, a un paesaggio naturale: tutt'attorno la pagina è piena di versi scritti a mano, corretti, cancellati, riscritti, versi che, per quello che si riesce a decifrare, riguardano la storia dell'uomo e del cammello.
L'occhio del pittore che dispone gli spazi e la mano del poeta che li fa parlare sembrano condurre anche in questo libro la creatività di Strand. La raccolta è divisa in tre parti. La prima presenta una galleria di quadri in cui avvengono azioni minime, talvolta surreali e stranianti, talvolta segnate dal tono delicato della favola: un re, nascosto in un angolo della sala regale, che ha perso il desiderio di regnare, e lo dichiara freddamente ad alta voce, rifugiandosi poi nel sogno "come un topo svanisce nella tana"; un poeta, che a carponi come un animale cerca di dialogare con due cavalli; un uomo, che per andare a "ritirare una torta" in un paese vicino, si smarrisce in un bosco senza fine; un altro che attraversa a piedi un incendio e poi continua a camminare, lasciando ad altri il compito di spegnerlo e di parlarne. In molti di questi quadri è raccontata con distacco una solitudine metafisica. Lo sguardo disilluso del poeta vede e registra il presente, poi, imperturbato, guarda oltre. Sembra estraniarsi perfino da se stesso, quasi accompagnando con occhio asciutto la propria stessa sparizione. Una parola che ritorna spesso è vanishing, lo svanire, l'assottigliarsi, il perdersi. L'io partecipa del mondo con distacco e con lo stesso distacco guarda svanire il mondo, se stesso, il proprio desiderio. Emblematico è l'ultimo verso di Ero stato un esploratore polare: "Come il desiderio intenso svanisce finché nulla ne rimane".
Il libro è segnato dal dialogo fra l'io e Morte. A volte con toni surreali (Morte che arriva tardissimo, stanca, o meglio stanco, perché in inglese Morte è maschile, con la barba lunga, seduto su una Limousine, che attende la vittima ormai centenaria), a volte con autoironia e giocosità beffarde, di chi sa che se anche non si pensa alla morte, Morte pensa a noi. La consapevolezza della fine come un inoltrarsi nel nulla è a volte giocata sul registro dell'autoironia dell'assurdo, come la terzina riproposta due volte alla chiusura della prima parte della raccolta: "L'ascensore scese fino in cantina. Le porte si aprirono. / Entrò un uomo e chiese se andavo su. / 'io vado giù', risposi. 'Non vado su'".
Nella seconda parte è ribadita la centralità della morte nel mondo e al cospetto della natura che, come per Leopardi (poeta caro a Strand), guarda indifferente. Così la morte della madre nella poesia Madre e figlio segna il momento in cui per il figlio inizia "la sepoltura dei sentimenti": "Il figlio / tocca le mani della madre per l'ultima volta, / poi si volta e vede il volto pieno della luna. / Una luce di cenere cade sul pavimento. / Se la luna potesse parlare, cosa direbbe? / Se la luna potesse parlare non direbbe niente".
In questa sezione la musica prende il sopravvento. Marsia è una poesia che riporta Strand a fare i conti con le forme chiuse, in questo caso il Pantoum, già utilizzato da Baudelaire e ripreso da altri poeti americani, come Donald Justice, maestro e amico di Strand, o John Ashbery. Il Pantoum, simile alla villanella, è composto da una sequenza non definita di quartine in cui il secondo e il quarto verso sono ripresi come primo e terzo nella quartina seguente. La ripetitività simmetrica, altro elemento caratteristico della poetica di Strand, fa assumere alla poesia un ritmo lento, meditativo, che apre in modo conveniente ai due poemetti che dialogano con due composizioni musicali: le variazioni di Webern e il quartetto di Haydn Le ultime sette parole di Cristo; poemetti commissionati per altrettante esecuzioni pubbliche del Quartetto d'Archi Brentano. Soprattutto nel secondo caso, il laicissimo Strand stabilisce un dialogo di inusuale eleganza con la versione musicale, riscrivendola e integrandola con il suo stile, con la sua grafia essenziale e assai poco indulgente nei confronti di ogni dizione poetica di maniera.
Il suo stile rastremato, privo di sbavature, saldo e coerente in un registro che non prevede né liricismi né gergalità è ben reso dal traduttore, che, in genere, si accorda alla tonalità di Strand. Qui e là si notano qualche preziosismo ("bits of lace" diventa "lacerti di trina", "long lines" diventa "interminabili teorie", "thin dogs" diventa "cani smunti", "A storm was coming" "S'appressava un temporale") o idiomatismo ("nababbi" per "very rich") che incrinano la medietà del registro di Strand, senza che queste scelte traduttive siano giustificate da motivi metrico ritmici o fonetici particolari. In alcuni casi la chiarezza cristallina di Strand nella traduzione si avvita su se stessa con la ricerca di ripetizioni di maniera: così in "Hours pass / and only the harp off in the distance and the wind / moving through it" i due verbi di movimento chiariscono che cosa sta succedendo e di come il vento passi attraverso l'arpa eolia e la faccia vibrare, mentre in italiano si opta, in modo artificioso, per lo stesso verbo "Le ore trascorrono / e solo l'arpa in lontananza e il vento / che vi trascorre". Strana sembra la scelta traduttiva dell'ultima parola, topica come nessun'altra, della poesia sulle ultime sette parole di Cristo ("Father, into your hands I commit o commend, come dicono alcune traduzioni my spirit"), che Strand, nella sua interpretazione riformula con "To that place, to the keeper of that place, I commit myself". Nella traduzione di Abeni diventa: "A quel luogo, al custode di quel luogo, mi consacro", dove "mi affido" avrebbe colto non solo l'intentio di "commit", ma anche la storia che quella parola porta con sé come eco profonda, e avrebbe contribuito a farci conoscere meglio un modo di fare poesia sliricato nelle scelte lessicali ma liricissimo nella forma e classico nella sua essenzialità.
Franco Nasi
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