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“Giochi sacri” ha un avvio da detective story, ma presto biforca la narrazione seguendo la storia dell’ispettore Singh e quella del boss Gaitonde e inframezzandola di inserti che raccontano altre storie, in un affresco politico-sociale che aggiorna il panorama storico dell’India al boom economico attuale, all’impatto della globalizzazione, ai dirompenti cambiamenti nei costumi e nella cultura popolare. La fantasia dell’autore elabora in veste noir verità documentate: la mafia locale che un tempo gestiva "solo" droga e prostituzione, negli Anni ‘80 si infiltra nella politica e negli Anni ‘90 si allarga ai sequestri di persona, al racket delle estorsioni e penetra negli affari di Bollywood riciclando i narcodollari nelle produzioni cinematografiche. In questo mondo difficile si fronteggiano l’ispettore Sartaj, che cerca di trovare una quadra tra la sua malinconica solitudine post-divorzio ed il suo innato romanticismo, ed il boss Gaitonde che gradualmente acquisisce la consapevolezza di essere solo una pedina manovrata dalla criminalità organizzata e dai servizi di Intelligence. Avvio di lettura un po' difficile, ma nel complesso il libro è una buona lettura.
Un gran bel libro. Complimenti. Anch'io faccio, per quest'opera, un riferimento a Salman Rushdie; non per l'universo irripetibile de "I figli della mezzanotte" ma penso all'affascinante narratore della storia di "Shalimar il Clown". In Rushdie partiamo con un omicidio e ripercorriamo le vicende che hanno condotto a tale epilogo. Anche in "Giochi sacri" si inizia dell'epilogo della storia: il colloquio finale tra i protagonisti sulla porta del bunker ci guiderà a ripercorrere tutta la parabola di Gaitonde.... Un personaggio che non dimenticherete
NOIOSO. NOIOSO. NOIOSO. 1200 pagine di noia mortale. I libri lunghi mi sono sempre piaciuti, ma una cosa è quando 1200 pagine hanno un senso, un'altra è quando 1200 pagine sono solo riempite di parole. Questa è una storia che poteva benissimo stare dentro le 500 pagine! Alcuni capitoli non hanno collegamento con la storia, come se lo scrittore avesse avuto in testa tante idee ma nessuna abbastanza corposa da scriverci attorno un romanzo. L'inserimento dei termini indiani inizialmente mi era piaciuto, ma non ha senso tenere in indiano nomi (per esempio "sandali", "materasso", "pistola" etc...) che possono renedere benissimo l'idea anche in italiano. Alla lunga diventa scomodo fare avanti e indietro con il vocabolario in fondo al libro. Infine, i capitoli sono lunghissimi e fanno perdere il filo del racconto: più di una volta sono dovuta tornare indietro. Non è una lettura scorrevole, nè piacevole. Sconsiglio vivamente.
Recensioni
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Sartaj Singh, unico ispettore Sikh della polizia di Mumbai, è un uomo sulle cui spalle pesano un matrimonio fallito, una carriera perennemente all'ombra di un padre ingombrante e irraggiungibile e una solitudine che ogni giorno si fa più opprimente. Vive e lavora in una città che lo aggredisce con la sua sensuale bellezza e con una violenza e una corruzione alle quali Sartaj non si è mai assuefatto e non ha mai saputo segnare significative vittorie. Un mattino, però, tutto cambia: il telefono squilla e una voce brusca chiede "Vuoi Ganesh Gaitonde?". Gaitonde, il temutissimo, imprendibile boss della mafia è asserragliato in un rifugio antiatomico e rifiuta di arrendersi. Quando Sartaj si reca all'appuntamento, tra i due comincia un avvincente dialogo al citofono, ma Gaitonde – il cui primo nome, Ganesh, è quello del dio-elefante caro agli induisti – si spara prima di essere catturato. Sartaj si trova ad indagare su qualcosa di molto più grande di lui. Dietro al suicidio del boss, infatti, si sospettano altre trame: pericoli per la sicurezza nazionale, attentati, tensioni con il Pakistan. Da questo punto in poi il romanzo segue binari paralleli: da un lato la ricostruzione dell'ascesa criminale del boss, raccontata in prima persona, dall'altra l'inchiesta della polizia e il resoconto della normale giornata di lavoro tra ricatti, violenze e piccoli abusi. A partire da questi due personaggi principali, si snoda così davanti al lettore una narrazione fluente e affascinate che racconta un mondo – come lo chiama l'autore – "molto fluido" che ha come fulcro una metropoli dove tutto è possibile: una Mumbay di poliziotti esausti, mafiosi in crisi esistenziale, prostitute che diventano attrici e attrici che diventano semidee. Una detective storyispirata al crimine locale in cui la criminalità organizzata rimanda alla politica, la politica alla religione e tutte e tre ai movimenti loschi alle frontiere. Un romanzo che racconta l'India di oggi meglio di qualsiasi reportage: un'India presa nel grande gioco del crimine organizzato, delle politiche locali e dello spionaggio, ma catturata anche nelle maglie della llela "il gioco degli dei che trascende la divisione tra bene e male".
Formidabile per capacità d'intrattenere, numero di personaggi e quantità di temi, il romanzo mescola abilmente i generi e disorienta: è detective story e affresco politico-sociale, romanzo di mafia e racconto epico, affresco sociale ed esperimento linguistico (moltissimi, infatti, i vocaboli hindi, urdu, bengali, marathi) in cui amore, potere, guerra e luoghi eterni si stampano, pagina dopo pagina, sul corpo dell'unica, vera protagonista di questo incantevole romanzo: la città di Bombay, l'odierna Mumbai, teatro di una contemporaneità globalizzata che però reca in sé, tenaci e antichissime, le proprie radici d'Oriente.
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