Il movimento del magma Arcipelago, costellazione, galassia: potrebbero essere metafore adatte a definire come si è modificata negli ultimi anni l'immagine complessiva dell'opera di Pasolini. Metafore che spiegano la molteplicità di percorsi interni, la stratificazione, gli incroci di codici espressivi. Walter Siti, nell'edizione dei Meridiani curata con Silvia de Laude (Mondadori, 1998), esprimeva l'ipotesi di un'edizione che non si fermasse solo a "qualcosa di scritto" ma comprendesse, idealmente, anche i film, le immagini, i suoni. Del resto Pasolini stesso aveva parlato di "struttura che vuol essere altra struttura", indicando lo statuto ibrido dei testi scritti per il cinema, apparentemente testi di supporto all'operazione visiva ma realmente testi che assumono una nuova forma. E forse (forse) la trasformazione dello statuto della testualità negli ultimi anni, anche sulla base delle edizioni che si sono realizzate in collane prestigiose (un filo ideale, a mio parere, unisce il Pascoli di Garboli e il Pasolini di Siti), implica un'accentuazione di certe caratteristiche che Pasolini stesso sottolineava nelle sue opere degli ultimi anni, opere che spesso nascono sotto il segnale dell'incompiutezza programmata (Divina Mimesis, Petrolio, il trattamento per Porno-Teo-Kolossal) e dell'incompiutezza provocata. Racconti "da farsi" che diventano racconti "non fatti", specificava Pasolini nella quarta di Alì dagli occhi azzurri (Garzanti, 2014). Potremmo pensare che la fisionomia della critica intorno a Pasolini, in questo 2015 di celebrazioni, abbia realmente seguito i sentieri interrotti che attraversano la sua opera e i suoi mondi. Alberto M. Sobrero ha preso l'iscrizione che Carlo (il protagonista di Petrolio) trova sotto la statua allegorica alla fine della complessa visione del Merda ("Ho eretto questa statua per ridere") e ne ha fatto il titolo di un suo complesso esperimento didattico (Ho eretto questa statua per ridere. L'antropologia e Pier Paolo Pasolini, pp. 317, s.i.p., CISU, Roma 2015). Non a caso, il discorso di Sobrero segue un andamento irregolare, non dettato dalla sequenza delle opere, ma dallo sviluppo di un pensiero che attraversa nuclei dell'opera cercando i confronti con il pensiero antropologico, sulla base di problemi come la costruzione dell'identità, il rapporto con l'alterità, il tema del possesso e la sua trasformazione in principio costruttivo fuori dalle regole. Sobrero si chiede come il problema dell'identità autoriale abbia spinto Pasolini a modificare la prospettiva con cui ogni sua opera acquista forma: il percorso si immerge nel magma, esce e entra dalle pagine di Divina Mimesis, Petrolio, Ragazzi di vita, come inseguendo Pasolini che rapinosamente guarda e traduce in scrittura parti del mondo, non con l'occhio dell'antropologo professionista ma piuttosto con quello dell'etnologo, capace non solo di osservare e di descrivere ma anche di "indagare piccole cose e di saperne trarre non piccole conclusioni". La prospettiva antropologica ritorna anche nel volume firmato a quattro mani da Fulvio Pezzarossa e Michele Righini, La camminata malandrina. Ragazzi di strada nella Roma di Pasolini (pp. 223, 18, Mucchi, Modena 2015), dove i romanzi romani vengono attraversati con la stessa camminata errabonda che dà titolo al libro, in modo che è la spazialità del testo a diventare l'oggetto del discorso, che vuole ridisegnare i percorsi di appropriazione e di espressione dello spazio da parte dei personaggi pasoliniani riconducendoli a modelli non solo popolari, ma anche antropologici. La figura del benandante, messa al centro del vecchio libro di Ginzburg e riattualizzata da Zanzotto che ne fece un appellativo diretto a Pasolini, diventa qui modello dell'operazione letteraria di un autore-sciamano che si traspone nel corpo multiforme dei ragazzi di vita per cogliere un passaggio epocale nello spazio della città moderna, quel passaggio dal modello centro-periferia al modello di centralità diffusa per mezzo della quale vengono eliminati gli spazi inutili, liberi, non sottoposti a legiferazione, gli spazi dove avvengono le iniziazioni rituali rappresentate invece nei romanzi e nella precedente raccolta Alì dagli occhi azzurri. Al panoptismo (come osserva Righini) cioè alla modalità tipica del narratore occidentale, si sostituisce ora uno sguardo immerso nelle cose, uno sguardo obliquo, "malandro" (malo-landro indica proprio il cammino sghembo) che crea continue linee di fuga dall'ordine razionale del discorso, come direbbe Foucault. Non è certo un caso che a questi due studi corrisponda, sempre in questi ultimi mesi, una nuova attenzione rivolta alla componente visiva dell'opera di Pasolini, magari nella sua versione meno scontata come quella della fotografia, che Corinne Pontillo indaga con rigore e completezza nello studio Di luce e di morte. Pier Paolo Pasolini e la fotografia (pp. 189, 10, Duetredue, Lentini 2015). Malgrado la riluttanza di Pasolini a usare la macchina fotografica, e la quasi totale assenza di considerazioni sulla fotografia nella sua opera saggistica, Pontillo riattraversa i mondi pasoliniani, a cominciare da quello friulano, e legge attraverso descrizioni di fotografie, allusioni, presenze reali di immagini nei fototesti. Il pensiero intorno all'immagine, anche in questo caso, si rivela pensiero fondante delle modalità testuali. Pontillo riprende un'antica radice proustiana, dove immagine e memoria sono legate, e insegue il modo con cui la tecnica fotografica (la fissazione di un attimo del tempo nella lontananza e nella morte) diventi spesso la base da cui si generano porzioni testuali: si veda per esempio l'indagine intorno all'aggettivo "ingiallito", che Pasolini usa in poesia e nella Divina Mimesis, e il ruolo che riveste nell'idea di stratificazione dei tempi che spiega le operazioni delle ultime opere. Anche le fotografie scattate da Pedriali, e probabilmente destinate a Petrolio, acquistano così il valore di un residuo corporeo del corpo autoriale all'interno dell'organismo testuale, destinato a contenere l'intera esperienza di Pasolini, compresa quella fisica che resta intrappolata nelle immagini del giovane fotografo. Quasi in sintonia con queste indagini, in questi stessi mesi Valerio Magrelli in Lo sciamano di famiglia. Omeopatia, pornografia, regia in 77 disegni di Fellini (pp. 186, 18, Laterza, Bari 2015) ha recuperato le idee di Barthes sulla fotografia in una ricostruzione/analisi del suo rapporto con Fellini e con alcuni momenti del suo cinema, creando un testo misto, senza confini di genere tra analisi critica, autobiografia, auto-rilettura, immagine, disegno. Anche se si parla di Fellini, il nome di Pasolini aleggia nel libro, in rapporto a un luogo specifico, Sabaudia, e a un episodio della vita dell'autore. Fellini e Pasolini: bisognerebbe scrivere una specie di vita/opera parallela, intrecciando i due, per vedere quanto siano stati vicini nella diversità. La presenza di Fellini è rilevante nella storia di Accattone: e l'attenzione per il primo film di Pasolini rappresenta forse il fatto critico più notevole di quest'anno. Accattone. L'esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti, a cura di Luciano de Giusti e Roberto Chiesi (pp. 251, 20, Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2015) e Pier Paolo Pasolini, Accattone (préface par Carlo Levi, pp. 218, Editions Macula, Paris 2015), accompagnato da Dossier Accattone,con testidi Hervé Joubert-Laurencin, Philippe-Alain Michaud, Francesco Galluzzi, Christian Caujolle e Pier Paolo Pasolini (pp. 170, 44): ben due volumi, uno italiano e uno francese (doppio), che ricostruiscono con precisione lo statuto di un'opera che possiede già tutte le caratteristiche delle opere future: lo sperimentalismo, l'oscillazione tra scrittura e immagine, il continuo adattamento alle esigenze della realizzazione. Accattone non è semplicemente un film ma un'opera dallo statuto ibrido: tra la scrittura e la realizzazione cinematografica, ora possiamo valutare il valore delle foto di scena, dei disegni di mano di Pasolini, dell'apparato testuale che accompagna l'elaborazione, l'uscita e la fortuna del film. Questi studi smontano letteralmente il primo film di Pasolini, ne fanno un nuovo oggetto di interesse, recuperando addirittura (la pubblicazione italiana) il trattamento sottoposto ai procedimenti della censura ricostruendo le fasi di ideazione di alcune scene fondamentali, tra cui il finale. Mentre l'edizione francese ripropone, tradotto, il libro costruito da Pasolini nel 1961, con l'esatta distribuzione delle foto in bianco e nero e con la premessa di Carlo Levi. Hervé Joubert-Laurencin, analizzando la scena finale del film, utilizza i disegni di Pasolini, e parla di un "fantasma" potenziale che accompagna le immagini reali proiettate: la forma che sembrava fissata nello schermo nasconde in realtà il movimento del magma. Marco Bazzocchi
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