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AA.VV., Grande dizionario della lingua italiana moderna, Garzanti , 1999
De Mauro, Tullio, Grande dizionario italiano dell'uso, Utet, 1999
scheda di Coletti, V. L'Indice del 2000, n. 04
Non c'è che da rallegrarsi per il fervore della lessicografia italiana, senza pari in Europa.Oltre a ristampe, aggiornamenti e riduzioni di quelli già da tempo in circolazione (come, da ultimo, il Treccani), si moltiplicano prodotti nuovi o radicalmente rinnovati.Sono usciti in questi mesi il Grande dizionario della lingua italiana moderna, programmato in cinque volumi più Cd-Rom da Garzanti, e il Grande dizionario italiano dell'uso, diretto da Tullio De Mauro e pubblicato in 6 tomi più Cd-Rom dalla Utet. Due opere di peso e qualità, destinate a fare da punto di riferimento negli studi linguistici per molti anni.Entrambi i dizionari selezionano nel titolo il segmento vivo, "moderno", "dell'uso" della nostra lingua, indicando il loro orientamento per la sincronia e la lingua viva. Ma il lettore non deve pensare a vocabolari che escludono sistematicamente le forme non più adoperate dell'italiano di oggi.Perché le parole uscite o mai entrate nell'uso comune, ma che può capitare di incontrare in quell'uso particolare che è lo studio, la ricerca, la scuola, sono invece ben attestate in questi dizionari, specie (nel Garzanti) se sono recuperate da qualche scrittore moderno.
Cosa i redattori del dizionario Garzanti abbiano inteso per "lingua moderna" lo si legge nell'introduzione, che spiega come con essa ci si riferisca all'italiano da Manzoni in poi, assegnando a Ipromessi sposi quel ruolo di svolta che effettivamente il romanzo ha avuto nella nostra storia linguistica.Succede così che le parole dei grandi classici antichi siano qui registrate e giustificate non solo con gli esempi che le hanno rese celebri ("inluiare" è ovviamente dovuto soltanto alla sua presenza nella Commedia), ma spesso anche (e a volte solo) con le pur sporadiche loro riapparizioni in autori dell'Otto-Novecento.
Come si intuisce, il riferimento, pur non esclusivo, agli scrittori è prevalente negli esempi addotti dal Garzanti, con una opzione per la lingua degli autori (sia pure e soprattutto "moderni") che potrà anche lasciare perplessi, ma non certo dispiacere.Poche lingue come l'italiano, infatti, hanno radicato la loro storia, anche quella prossima, nell'opera dei letterati, e quindi non sarà certo sgradevole vedere un tecnicismo come "behaviorismo" corredato da un esempio di Arbasino, e un nome di pianta come "belladonna" attestato in Montale, "computer" documentato con Aldo Busi e "digej" con Cassieri (ma il riferimento di "diasporo" a Montale ripropone un vecchio errore del poeta che voleva scrivere "diosperi" o "diospiri", riferirsi cioè a un frutto - nominato anche da Pratolini - e non a un minerale!).La decisione di privilegiare la testimonianza degli scrittori è sicuramente degna di considerazione e di discussione, in una stagione della nostra storia linguistica in cui, per un verso, la lingua letteraria non è più distinta da quella comune (persino l'immancabile e volgare "cazzo" può essere autorizzato da Leopardi e Giusti, per non dire di Pavese, Tondelli e Consolo), e, per l'altro, la letteratura non ha più un ruolo di guida della lingua, di modello e autorizzazione delle scelte dei parlanti, che riconoscono ad altre fonti (televisione, giornali) l'autorità un tempo accordata ai letterati.Aver puntato sulla letteratura è soluzione che, perlomeno, lascia accesa una speranza di futuro per la lingua scritta e riflessa, oggi più che mai minacciata di estinzione.
Il dizionario Utet si giova delle straordinarie qualità, non solo di studioso ma anche di promotore e organizzatore di ricerca linguistica, per cui è universalmente noto Tullio De Mauro.La prima novità del dizionario è il lemmario: più di 250.000 voci risultanti dall'esposizione a lemma delle solite e qui assai numerose "parole" ma anche dei verbi pronominali (da "adirarsi" a "fumarsi" ad "amarsi") e dei "procomplementari" (soluzione molto convincente che segnala a prima vista come tra "bere" e "bersela", tra "fare" e "farcela" corrano differenze semantiche radicali), di tutti i participi passati e di una ampia scelta dei participi presenti, della prima persona singolare dei passati remoti irregolari (facilitando così la ricerca per chi non sapesse come risalire da "crebbi" a "crescere"), degli avverbi in "-mente".A questo vasto insieme di parole singole vanno aggiunte l'evidenza tipografica e la trattazione esauriente di oltre 60.000 unità polirematiche, cioè di aggregazioni unitarie di parole diverse ("vedere rosso", "stare a cuore"), nonché il rinvio al lemma di testa di altrettante. Ne risulta un lemmario di ampiezza decisamente superiore e una nozione di "parola" che tiene conto dello scavalcamento delle forme univerbate nell'uso scritto e parlato quotidiano.
Il dizionario Utet adotta poi efficaci soluzioni tipografiche per segnalare gli ambiti d'uso di una parola.In particolare, visto che è opera di chi ha introdotto in Italia questo tipo di ricerca, De Mauro distingue il lessico fondamentale (oltre il 90% delle parole che usiamo), quello di alto uso (5-6%), quello di alta disponibilità (ma di scarso uso), l'ampia sezione del lessico di uso comune (oltre 40.000 parole accessibili "a chiunque abbia un livello mediosuperiore di istruzione", ma le cui occorrenze reali sono minime) da tutto il resto del patrimonio linguistico nazionale (in modo speciale parole tecniche, settoriali, regionalismi, forestierismi ecc.); accanto a questi segmenti, l'opera presenta infine - di tanto più ridotte ma certo non povere nella registrazione del dizionario - le sezioni del lessico di basso uso, obsoleto e letterario.
Edoardo Sanguineti ha collaborato all'impresa Utet, e il suo apporto è particolarmente significativo, oltre che nelle citazioni d'autore e nella fornitura di lessico raro, nelle datazioni dei significati principali di tutte le parole: un'informazione, come si sa, sempre migliorabile ma comunque preziosissima, anche quando si limita a indicare genericamente un secolo (40.000 parole portano la data XX secolo).Anzi, se è consentito produrre l'esperienza di chi ha lavorato a lungo in questo ambito, l'indicazione per secolo (o grandi porzioni di secolo) è forse addirittura preferibile, più vera e maneggevole di quella per anno.Delle parole straniere si fornisce anche la data di prima attestazione nella lingua di provenienza, un dato di grande interesse storico-linguistico.
Molti altri sono i pregi di questo Grande dizionario, dalla trascrizione in grafia fonetica di tutte le parole, e relativa sillabazione, ai ricchi quadri grammaticali, che, per i verbi, introducono in Italia per la prima volta (se non vado errato) il sistema da anni in uso all'estero (soprattutto in Francia) dei modelli di coniugazione ai quali i singoli verbi vanno riportati.
In appendice al VI volume De Mauro ha presentato i primi risultati di un'analisi del lessico italiano che la consultazione informatica del vasto corpus del suo dizionario ora consente. Vi si legge una essenziale storia del lessico italiano, la sua distribuzione nel tempo (i segmenti di maggior uso e disponibilità sono in larga parte pronti e completi già nel Trecento, mentre metà della restante porzione del nostro patrimonio è definita solo col Novecento), i suoi rapporti con le altre lingue (e De Mauro insiste sul duplice apporto del latino, come lingua madre e riserva sempre disponibile di nuove parole: più di 11.000 latinismi di datazione novecentesca, recuperati dai linguaggi scientifici!).È davvero istruttivo veder ducumentata la produttività interna della nostra lingua, che forma parole nuove (tramite derivazioni, composizioni, calchi) e attribuisce alle vecchie nuovi significati e valori.
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