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Camera obscura - Robin Robertson - copertina

Descrizione


"Camera oscura" è il primo libro di poesie di Robin Robertson. Nel poema che dà il titolo alla raccolta, Robertson racconta a più voci la vita di David Hill, pittore e pioniere della fotografia, nonché la sua Edimburgo vittoriana, unendo il tema di una vita privata dolente a quello della storia della Scozia. Così il poeta reinventa il genere del poema narrativo e ci fa da guida nel paesaggio suggestivo e surreale della Edimburgo di ieri e di oggi.
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Dettagli

2002
25 gennaio 2002
192 p.
9788882464257

Voce della critica

Quella dello scozzese Robertson, londinese d'adozione, formatosi tra Aberdeen e il Canada, è una poesia delle percezioni. Al centro del suo modo di rappresentare ci sono le sensazioni tattili, sonore, di colore e movimento: una lente "naturalistica" che filtra e traduce anche ciò che interamente naturale non è, come il contesto urbano, la violenza politica e sociale, l'idea stessa di Dio.

Il titolo originale della prima opera poetica di Robertson è A Painted Field. Essa comprende, oltre al poemetto Camera Obscura che dà il titolo alla bella traduzione italiana di Bacigalupo, un mosaico di altri componimenti precedentemente apparsi su riviste (tra le più prestigiose l'"Irish Times", la "London Review of Books", "The New Yorker", "The Observer", "New Statesman") e nella recente antologia Penguin Modern Poets.

La produttiva "frizione" di vita e morte è il nodo centrale di molti testi. Tre modi di guardare Dio è una visione scandita in tre istantanee, dall'attesa fremente di un temporale al climax del fulmine. La vita sboccia esplosiva coi "baccelli detonanti" del primo quadro, matura violentemente sotto nuvole minacciose come cesoie ("agnelli dalle guance rosse / schizzano via dalla loro prima comunione", il riferimento è a una iniziatica tosatura, anticamera di peggiori destini) ed è martoriata nell'ultimo da un oceano di tuono acqua e vento. L'uomo non è che un'impressione in mezzo alle altre: lo stridere di un cambio in lontananza, l'antropomorfismo stilizzato del fulmine che mette in fuga a calci gli uccelli.

La fuga delle stagioni fino a un incontro capitale con la carne e con il sangue è anche il tema di Visite a mio nonno, un'elegia sulla fine dell'infanzia: luci, colori, consistenze di tessuti e materiali per tratteggiare gli arredi domestici, il fuoco nel camino e le barche lontane. E impressioni tattili nel buio per quell'inaspettato contatto, oscuramente sessuale, col cadavere colante di un fagiano appeso a frollare: "Finii contro un oggetto da donne (...) / mettendo le mani giù sotto- / finché toccai il bagnato". Il sangue che secca sulle mani è un gradiente di colori: "cinabro, cornalina / robbia rosa, ruggine".

Nell'universo di Robertson trova il proprio spazio naturale la tematica politica. Avvento in County Fermanagh è pacata, puramente "fenomenologica", ma complicata da immagini pregnanti come quella del soldato che porta in braccio l'arma come fosse un neonato, o quella dell'ostia appena ricevuta e "riposta dietro i denti" con una poco evangelica furtività. Ricorda a tratti la cautela con cui maneggia l'ordigno di certi argomenti il poeta di Belfast Derek Mahon. Invece in Il supplizio di Marsia l'armonia delicata dell'attacco pastorale s'incrina quando l'occhio scivola sugli attrezzi da macellazione posati con ordine sull'erba di una radura. Tra spietatezza e perizia tecnica la tortura si consuma, ai danni del diverso, l'estraneo che "manco sa la nostra lingua".

In Camera Obscura, cui Guanda ha scelto di dare risalto particolare, la storia nazionale è in primo piano. Il protagonista è David Octavius Hill, pittore e pioniere della tecnica fotografica, vissuto nella Edimburgo vittoriana. Il principio costruttivo è ancora quello dell'accostamento di immagini e piani temporali: passato e presente, vicenda personale e collettiva (come la memoria cocente delle clearances, gli sgomberi forzati degli altipiani scozzesi, altra pagina terribile di storia coloniale), vedute caleidoscopiche della città. La preoccupazione centrale resta lo scorrere vorace del tempo, cui si contrappone il tentativo di trattenere il reale entro il contorno della rappresentazione. Ma ci sono sfumature imprendibili ("Il colore verde è la nostra grande difficoltà. Sembra che non sia possibile riprodurlo" dice Hill durante un esperimento. Poi sogna la moglie morta, vestita proprio di quel colore.) e non a caso Robertson intercala strofe della ballata popolare She Moved Through the Fair, inno celeberrimo della perdita affettiva.

A fare da cerniera tra il poemetto e le poesie precedenti è un testo segnalato nella documentatissima postfazione, incentrato sui reciproci rischi e investimenti di arte e materia. Nell'alone pittorico di una lampada medica si affaccendano infermiere notturne intorno a un malato dal cui petto è uscita "una prugna africana nel suo succo" (un brandello di un organo? il cuore?). "Gesù" sfugge al paziente terrorizzato, mentre il dottore senza una parola armeggia con l'occorrente per la sutura, e sorride flemmatico del comodino ingombro di romanzi e di frutta che avvizzisce. Ma il successivo avvicendarsi di prima e terza persona fa balenare spiazzanti visioni extracorporee su quel margine tra vita e morte così caro e presente a Robertson.

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