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Essere invitati in un libro di memorie è sempre bello. Di certo si dovrebbe apprezzare il dono dell'invito perché una memoria è un luogo sacro che ospita il privato e il personale. Anche un animale di pezza può essere un totem per chi lo ha avuto accanto e non solo essere considerato a posteriore come una misera pezza con forma tangibile ma dal senso banale. Entrare in una memoria è come un rito di accettazione di simboli arcani e sconosciuti che diventano, per il breve tempo concessoci a seguirli, come irti cammini da percorrere cercando di ricordare certi passi seguiti da altri passi. Il ricordo concessoci, quello altrui intendo, è sacro e dunque da rispettare sempre, anche quando lo riteniamo banale ed inutile, proprio perché non nostro e dunque per noi, distaccati, giudicato spietatamente a torto come banale ed inutile. Calasso, Memè Scianca, nome datosi da ragazzino ma con un significato oramai perso nel tempo, ci introduce in queste sue memorie raccontateci come ai figli, con una premessa da non dimenticare a nostra volta leggendolo: "La memoria è fatta in prevalenza di buchi, come un territorio crivellato di crateri vulcanici oramai inattivi", perché qualsiasi progressione lineare tende a sfigurare gli elementi incorporati in quello sforzo di creare una narrazione. E infine: "Mancano i testimoni, ogni frammento che affiora potrebbe essere abbandonato a una totale inesistenza. E certamente chi scrive dubita di ogni parola che scrive." Grazie Calasso per averci invitato nel frammento, nel dubbio, in ciò che svanisce.
Un libro mancato. Promette con simpatici ricordi di animaletti di pezza e vecchie nutrici, ville in tempo di guerra e libri amati, poi il solito balletto di amici di famiglia colti e raffinati .... e poi? Della vita infantile di questo Memè non rimane nulla e a noi rimane lo stupore che si possa pubblicare questo aborto. Rimane una considerazione: dai libri ampollosi e sterminati di Calasso viene fuori questo piccolo residuo, come un esito stitico di tante roboanti parole.
Forse la chiave per decifrare queste commoventi pagine di commiato è in quei scivolosi dedali dell'inconscio nei quali le parole tentano di far luce su loro stesse. Calasso ammette di non ricordare da dove gli si sia affacciato dentro il termine Scianca, come sia sorto e si sia fissato nella sua vita; ma poco più avanti scrive: "In sanscrito Shankha significa conchiglia, usata per libagioni d'acqua. Se perforata, veniva usata in battaglia per il suono che emetteva, come un corno o una tromba". Tutto somiglia al sorprendente sforzo che le braccia della ragione adulta fanno a ritroso per risalire le rarefatte acque dell'infanzia, lontane e inspiegabili in una cifra di meraviglia. Come un ragazzo che posa l'orecchio a quell'oggetto e ne cava tracce di confessione, un'eco che rilega come può la sua somma di venti, di voci, di esperienze, alcune nitide, altre sfuggenti: "E certamente chi scrive dubita di ogni parola che scrive. Sa che nessuno potrà confermarla. Ma l'impulso è forte ad afferrare il lembo di una stoffa che una volta aveva avvolto un corpo". Cosa abita questo volumetto? Figurine, giochi, soldatini di piombo, ma tutti calati in una precoce chiarezza di dentro che i libri poi sigilleranno in modo definito unendo cultura ed esistenza: "Leggere fu ciò che insensibilmente prese il posto dei giochi che facevo da solo". Allora Proust, Ariosto, i gialli di Van Dine, Stout e Dickson Carr, e ancora Pickwick e Cime tempestose, accanto agli incontri figli dei due rami della sua famiglia: La Pira e Pasquali, Rostovtzeff e i Pasternak. Poi i presepi natalizi nei dolci richiami a Lecce, la città del padre, come il Balzac adorato dalla madre, "ho i suoi volumi nella Pléiade, scorticati dall'uso". E Brodskj, gemello lungamente rimpianto. Ma è Gnao alla fine che domina ogni rigo con la sua presenza e risolve ogni inutile lotta fra l'uomo e la scrittura: un gatto nero di pezza che "è tuttora accanto a me, vicino al mio letto". E' in lui la soluzione di tutto, la felicità.
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