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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2006
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Bellissima raccolta di racconti. Tommaso Landolfi, a mio parere molto sottovalutato dalla critica italiana, merita ben più attenzione.
Buonissima raccolta di racconti di Landolfi nel pieno della maturità artistica. 13 storie che affrontano varie tematiche, narrate come sempre con stile sublime e mai eguagliato nel nostro paese in tutto il '900 ( a mio avviso solo D'Annunzio e Manganelli possono reggerne il confronto e Michele Mari per gli autori contemporanei). Notevoli le storie sul gioco d'azzardo (demone personale dell'autore e costante tematica in diverse sue opere), il tragico epilogo di uno scrittore tormentato, una studentessa che s'innamora del proprio insegnante-computer, le avventure di uno scrittore con un gatto ed un ragno, il velenosissimo racconto "L'eterna provincia", storia di un uomo con una gamba di legno e il suo amore tormentato, tra romanticismo e misoginia. Le grottesche due veglie funebri di un marito che si ritrova una seconda volta a vegliare la moglie morente, ed infine il vero capolavoro di questa antologia "La dea cieca o veggente", surreale e divertente astrazione intellettuale sull'ispirazione artistica, uno dei racconti più belli di Landolfi, spassoso ma che allo stesso tempo è uno stimolo profondissimo a certe riflessioni sul concetto di arte e sull'ispirazione poetica.
Il destino degli scrittori non deve ingannarci né il biografismo convincerci troppo, ma Dostoevskij giocava e anche Landolfi fu preso dal demone del tavolo verde, oltre che essere stato un magnifico traduttore del russo. In questi racconti antologizzati nel 1962, quasi tutti brevi e lapidari, l'assurdo è quotidiano, secondo il naturale grottesco dello stile landolfiano, che abitua il lettore agli improvvisi scarti di registro e a rivalutare il lessico nella sua ampiezza, come la vita nell'apparente suo ordine e disordine sconfinato. Non stupisce, quindi, che il giocatore chieda al mastro (Dio?)l'esatta portanza della trave cui vuole appendersi, non rinunciando però alla scappatoia (cederà al suo peso?); o che il robot innamorato vada in tilt, e un altro giocatore incontri il Doge, ricchissimo anche oggi, per confessargli la "volontà di perdere": ecco il demone segreto nel gioco dell'esistenza. Il racconto del titolo spiega la "società" in quattro quadretti ben dipinti, fra Settecento e Novecento, fra i bisogni delle dame prima di mettersi a tavola e le assurdità di un filosofo della Sorbona. Accanto ai tormenti storici e dell'attualità, Landolfi, ingaggiando il lettore amabilmente, interroga sempre l'artista sulla sua opera, e basta il ritratto dei "due figli di Stefano" - racconto nerissimo - per capire che aria tiri da queste pagine. Il borbottio arzigogolato di Landolfi anche se sfiora l'indecenza fra i Casanova sbottonati e i peti, ha un fine purissimo: lo si comprende nella revolverata che si spara lo scrittore ("vecchiotto") al termine della mattinata di lavoro: l'arte è una pedanteria; la prosa e la poesia, illusioni combinatorie che si spegneranno ridicolmente fra poco. Resta, nel suo sarcasmo inconsapevole, la vita che qui abbiamo registrata in vari modi. Il racconto più lungo riporta all'"eterna bisca", il secondo più lungo all'"eterna provincia". In entrambi un deluso, senza amore che per la sorte, gira nei suoi pensieri di rivalsa che mai giunge.
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