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"Sapeva di aver sognato, ma la verità ch'era nel sogno lo penetrò di felicità in ogni vena". Arcani sentieri percorsi tra vallate alpine, torri solitarie che s'affacciano su montagne antichissime, là dove l'umanità è nata, da dove è stata cacciata. Separare il sogno e la realtà? Errore dei tracotanti. Passiamo invece da un sogno all'altro, e da questo a un altro ancora, dal sogno vero al sogno impossibile, da un sogno di visi autentici a un sogno di nude maschere, dalla nostra ombra abituale a quella seconda ombra che non credevamo di possedere. L'uomo attraversa ciò che accade anche se non lo vede, e quando lo vede significa che ha già smesso d'attraversarlo. Non ha più la forza ch'occorre al movimento, nemmeno quando inconscio. Egli sente il bisogno di un po' di riposo. Egli trapassa nell'invisibile anche quando l'invisibile è già stato toccato. "Egli cerca la vita là dove si trova: nei punti più delicati, nelle pieghe delle cose". Siamo fermi e riflettiamo in una Venezia brulicante di volti gemelli, volti che ci chiamano a loro per intrappolarci. Camminiamo e riflettiamo, e quei volti ci rincorrono in tutte le stanze: il volto di Sacramozo e del Cavaliere di Malta, il volto di Mariquita e di Maria, il volto di Andrea e quello di Gotthilft, tutti volti che si ricongiungeranno nell'animo dello stesso Andrea, così come il volto diurno di Goethe e quello notturno di Novalis verranno ricongiunti in Hofmannsthal. Inevitabile che alla fine l'opera rimanga irrisolta, perché tutto ciò che si frantuma, foss'anche una vita o una piccola cosa, non può in ogni modo riacquisire piena integrità. Sarà vero che "le cose non sono altro che ciò che la potenza di un'anima umana continuamente ne fa"? Risposte questo capolavoro non ne ha da offrire, ma ci ricorda solo che "la vera poesia è l'arcanum che ci congiunge alla vita, che dalla vita ci separa". Questo non è soltanto un romanzo: è un talismano, che agisce su di noi come un intimo e potente mito. Semplicemente immenso.
Hofmannsthal cominciò l’Andrea nel 1912 per non terminarlo mai. E tuttavia la si può a ragione definire un’opera conclusa che di questa sua incompiutezza si nutre intimamente, fin nel suo significato più profondo, come una sinfonia priva di conclusione. L’Andrea appartiene al genere letterario del Bildungsroman, del romanzo di formazione, che cresce -come in genere i romanzi appartenenti a questo genere-, sul tema centrale del viaggio. Il viaggio diviene qui simbolo e metafora del mutamento attraverso cui Andrea deve passare per poter definitivamente congedare l’accogliente mondo dell’infanzia ed approdare infine nel caotico e contraddittorio mondo dell’età adulta. Tuttavia Hofmannsthal avanza una proposta diversa: si fa strada tra le pagine, l’idea per cui non necessariamente la mancanza di una tale conciliazione, comporti il fallimento della mediazione e la rinuncia. Libro molto amato da Cristina Campo anche, che ne sapeva di buona letteratura. Ve lo consiglio.
Anche se incompleto resta, a parer mio, uno dei più bei romanzi della letteratura europea. Più del viaggio iniziatico di Andrea, più del ruolo d' occultamento della maschera è affascinante l'opera di sdoppiamento dei quattro personaggi del racconto che ci descrivere Hofmannsthal. Non è importante che tutto appaia frammentario e incompleto, anzi la frammentarietà appare la vera anima completa della vicenda. Il titolo in tedesco del racconto è " Andreas oder die Vereinigten", e vereinigten ha il significato di conciliare o anche riunire. E questa conciliazione dei doppi nei singoli personaggi è una coltissima riflessione su Freud. Davvero molto bello, ve lo consiglio.
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