Compulsion

Una vicenda realmente accaduta diventa un romanzo avvincente da cui è impossibile separarsi!

Chicago. Anni ’20. Artie Strauss e Judd Steiner sono due giovani e promettenti studenti dalle menti brillanti che, nelle noia e nella apparente perfezione della loro vita da ricchi borghesi, progettano a compiono “il delitto perfetto”. I due commetteranno tuttavia una serie di errori grossolani che li porteranno presto al centro di un noto caso giuridico in cui in molti, anche parecchio tempo dopo il delitto, cercheranno di districarsi per capire il complesso movente dietro a questo omicidio. Un Movente che comprende diversi aspetti distorti della società e della mente umana. Compulsion è strutturato in due parti: nella prima viene riportato il resoconto del delitto includendo la premeditazione e le indagini del delitto. Nella seconda si segue il “processo del secolo” e la relativa sentenza. Meyer Levin adotta una stile freddo e misurato all’interno di questo true-crime che alterna punti di vista dell’alter-ego di Levin (che fu presente come apprendista giornalista all’epoca dei fatti) e i pensieri di Artie e Judd. Un reportage dove si sondano tutti gli elementi che possono aver contribuito al movente dei due ragazzi con raccolte di prove e documentazioni comprese le perizie psichiatriche, le deposizioni e i colloqui con i due protagonisti, il tutto attenuto il più fedelmente possibilmente alla realtà dei fatti. Le parti più interessanti sono sicuramente le indagini psichiatriche e le diverse tematiche che vengono trattate in relazione all’omicidio quali omosessualità repressa, psicologia umana, religione, giornalismo, pena capitale e filosofia. Molto presente anche la mentalità dei due ambigui protagonisti di cui vengono ricostruiti pensieri, azioni, personalità e atteggiamenti molto dettagliatamente.

Libro interessante che però a mio avviso risente a volte troppo del mestiere dell'autore. Certo, come già ricordato, è un romanzo-verità, o anche il diario romanzato di un'inchiesta, ma lo stile giornalistico influenza la narrazione e crea una distanza tra il lettore, la storia e i personaggi, analizzati in modo clinico ma senza partecipazione. Grande assente: la vittima e la sua famiglia, che pure avrebbero dovuto contare in qualche modo. Esageratamente prolissa tutta la parte del processo, per quanto getti una luce interessante sull'uso rudimentale della psicologia nella giurisprudenza nel 1924, quando la disciplina era ancora bebè.