Puttane assassine

Sono tredici racconti, alcuni agghiaccianti come "Le puttane assassine" dove la giovane protagonista sevizia e uccide un giovane pieno di vita e di voglia di vivere, o come il racconto "Il ritorno" dove un famosissimo stilista soddisfa le sue fantasie necrofile su di un cadavere, in presenza del fantasma a cui quel corpo appartiene.C'è anche il mondo del calcio in "Buba", dove le partite si vincono grazie ad un rituale di magia nera a base di sangue. Bolano, senza alcun intento moralistico, racconta un mondo difficile, degradato, buio, cupo e senza speranza. E ce lo racconta molto bene.

Puttane assassine è una raccolta di racconti dello scrittore cileno, pubblicata nel 2001. Le storie dei protagonisti di questi racconti sono a tratti angoscianti, a tratti assurde, a tratti sembrano cronache di fatti che si susseguono: un fotografo che salva due bambini destinati alla castrazione da un bordello indiano, una donna che rapisce un tifoso visto in televisione per torturarlo, magie e riti propiziatori, uomini senza scopo e senza meta, fantasmi sia vivi che morti. Bolaño accumula sulla pagina parole e pensieri, a volte anche sconnessi tra loro, unendo realtà e finzione in un'unica bolla. Incontriamo la memoria di poeti francesi sconosciuti e letterati ispanoamericani che hanno segnato la storia, Neruda, Parra, de Rokha, Vallejo, Huidobro. Bolaño è un narratore abile, capace di trasportarti con il suo fiume di parole attraverso storie al limite dell'assurdo. Puttane assassine è la mia prima lettura di Bolaño, ma sono sicura che non sarà l'ultima.

Bello, bello, bello! A due anni dall'ultimo seccante abbandono di 2666 (dopo aver gustato al massimo 'I detective selvaggi' - ecco perché seccante), con sommo piacere comunico il mio entusiasmo ritrovato in questi tredici racconti dal leitmotiv intuibile dal titolo. Non particolarmente per i racconti in sé, ma proprio per la sua libertà di mente e di espressione, per quella tristezza nelle righe, per gli spifferi di arte e di magia che da esse filtrano. «Il racconto era di quattro pagine, forse lo scelsi per questo, per la brevità, ma quando l'ebbi finito ebbi l'impressione di aver letto un romanzo.» Lo leggo, e poi mi ascolto. Ascolto le sensazioni che la lettura induce e le traduco in questi pensieri, ma non giudico; semplicemente accolgo o respingo: questo ho capito essere il mio modo di leggere Bolaño, o meglio, la modalità che istintivamente adotto da quello che io reputo un certo livello di Letteratura in su, senza troppe supercazzole. Ora so che posso tornare sul monumentale 2666 e riprovarci, perché di Bolaño non mi voglio più perdere nemmeno una pagina.