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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 1989
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"Avevano sicuramente una cosa in comune tutti coloro che erano entrati in questo trapassatoio: avevano che non ne sarebbero usciti vivi." E trovarsi appena diciottenne in un tale contesto nosocomiale, non presagirebbe certo nulla di buono se la cosa non fosse considerata anche da un'altra prospettiva: "L'artista, e soprattutto lo scrittore che non si faccia di tanto in tanto ricoverare in ospedale, che non si faccia perciò ricoverare in un quartiere del pensare come questo, di vitale e decisiva importanza per la sua esistenza, finisce col tempo per smarrirsi nella futilità perché rimane impigliato alla superficie delle cose. [...] In questo quartiere del pensare otteniamo ciò che al di fuori di esso non è mai possibile ottenere, la coscienza di noi stessi e la coscienza di tutto ciò che è." Questa è la teoria del nonno di Bernhard, figura fondamentale per la sua crescita. Mente brillante e creativa quella del nonno, dal quale sono partiti stimoli forti a sollecitare quella del nipote che qui lo esprime con la consueta, chirurgica lucidità. Quindi si scopre che molto del Bernhard che conosciamo è frutto dell'imprinting nonnesco; che il suo modo obliquo di osservare e di stare al mondo, a cui lui poi ha aggiunto una buona dose di cinismo, deriva da lì: 'il peccato originale' che ha permesso al suo talento di esprimersi. Perfuso di un'atmosfera da Montagna incantata, con questa profonda riflessione sulla malattia, fine vita, perdita e morte, si è aggiunto un altro tassello - breve ma, neanche a dirlo, intensissimo - per comprendere la peculiarità di questa affascinantissima personalità artistica. In pieno stile Bernhard, scomodo, spesso feroce, cupo e ipnotico, avviluppa con l'asprezza di una scrittura che sembra fatta apposta per disturbare, per respingere il lettore. Missione fallita, Herr Bernhard: più tenti di infastidirmi con misantrope e nichiliste stilettate alla Schopenhauer, più m'incanti.
Bernhard è appena diciottenne quando viene ricoverato d'urgenza in ospedale per una grave malattia polmonare, in un reparto che lui nomina "trapassatoio". Ecco la premessa. Tratta di temi fondamentali ed essenziali della condizione umana. Una cosa fra tutte, la più significativa e al tempo stesso terrificante: la morte. L'ospedale è fatto di routine, rituali silenziosi e delle cure disinteressate di suore e medici. Ma è anche un luogo che invita (e costringe) a pensare. Un posto dove tutto ciò che viene prima viene livellato, dove la lotta è soprattutto dello spirito. «Qui, in questo trapassatoio, io mi ero imposto di non abbandonarmi alla disperazione, semplicemente dovevo lasciare che la natura umana, la quale si palesava qui, come probabilmente in nessun altro luogo, con assoluta brutalità, facesse il suo corso».
Mi piacerebbe che si leggesse di più Bernhard di questi tempi in cui ci si fa prendere dalla psicosi del coronavirus e poi ci si tranquillizza pensando che “tanto muoiono solo i vecchi o quelli che erano già ammalati”, ché forse leggere Bernhard potrebbe aiutare a curare una certa grettezza che a volte si annida nell’animo umano. Mi piacerebbe anche che chi legge Bernhard riuscisse e a sentire tutto il disperato amore per la vita e l’acuta sensibilità per la sofferenza umana che trasuda dalle sue parole - o che ci sento io - e anche che leggesse questi suoi volumi autobiografici chi lo critica come eccessivamente pessimista o cinico per capire che razza di vita ha avuto quest’uomo, non certo baciato dalla fortuna (dal genio sì, però). Insomma, più Bernhard per tutti, ma non mi illudo: resterà davvero nel cuore solo a pochi. Ve lo consiglio di cuore.
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