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scheda di Rancati, F., L'Indice 1994, n. 3
Il monastero del titolo è copto ed è situato nei dintorni di un villaggio di contadini musulmani, in Egitto. Zia Safia è una bellissima fanciulla destinata, per disattenzione e una certa ignavia dell'uomo che ama, a sposare il vecchio Bey. La storia è quella di una vendetta che assume i toni della tragedia, dell'amicizia di un brigante feroce e leale, della sollecitudine di un frate burbero e saggio, di un traditore punito. Il tutto avviene sotto gli occhi di un osservatore attento e partecipe, che è l'io narrante che a distanza di anni ripercorre gli eventi. La narrazione sembra svolgersi in una dimensione senza tempo, ma il contesto storico qua e là compare ad ancorare la vicenda a un preciso momento della società egiziana, quello di Nasser, dell'attesa di maggior giustizia sociale spesso disillusa e, sul finire, di un'atroce sconfitta, la guerra dei sei giorni. Baha Taher, nato nel 1936, ha vissuto le speranze di quell'epoca e poi è andato in volontario esilio a Ginevra, dove tuttora vive. Amato in patria dal pubblico colto, stimato dalla critica, ha la mano felice del narratore di professione. Troviamo nel romanzo gli echi di una lunga tradizione letteraria, che lo apparentano a Nagib Mahfuz, al meno noto Albert Cossery. Il piacere del racconto scaturisce dai molti personaggi, dalla scrittura distesa e ricca di avvenimenti, a cui si accompagna un sotteso giudizio morale e storico che dà spessore al libro. Il primo tradotto in italiano, e tra i più recenti (1991), di un autore che merita attenzione, anche come esponente di una generazione di scrittori che finalmente arriva al pubblico internazionale.
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