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Nel giro di pochi anni è la quarta traduzione italiana di un romanzo di Martin Walser dopo quelle, apparse a cura di Francesco Coppellotti presso la medesima casa editrice, dei Viaggi di Messmer (2004), di Morte di un critico (2004) e dell'Istante dell'amore (2005). Walser, nato a Wasserburg, sul lago di Costanza, nel 1927, resta uno dei più grandi prosatori tedeschi viventi, anche a dispetto delle polemiche che negli ultimi anni lo hanno visto protagonista per alcune prese di posizione sulla riunificazione della Germania e sulle modalità che nella cultura tedesca contemporanea presiedono al ricordo e alla rielaborazione del passato. Il ritorno di interesse nei confronti della sua attività deve essere salutato con favore tanto maggiore in considerazione del lungo periodo di ristagno che ha caratterizzato la sua ricezione italiana. Dopo la tempestiva traduzione del suo primo romanzo (Matrimoni a Philippsburg, uscita da Feltrinelli nel 1962) e l'inserimento di un racconto nell'antologia Il dissenso, che nello stesso anno e per lo stesso editore, su iniziativa di Enrico Filippini, faceva il punto sulla letteratura tedesca della cosiddetta "era Adenauer", la presenza di Walser presso il pubblico italiano era rimasta infatti limitata a Dopo l'intervallo (Feltrinelli, 1964), un romanzo indigesto e non certo dei migliori, e al bel racconto lungo Un cavallo in fuga (Garzanti, 1980).
L'opera che appare adesso, tradotta in modo sensibile e con singoli momenti di particolare efficacia linguistica, è di fatto un'autobiografia, e tramite il filtro di un personaggio accompagnato lungo gli anni della sua formazione ripercorre le vicende dell'infanzia e dell'adolescenza dell'autore nel suo paese natale durante gli anni del nazismo e della seconda guerra mondiale. Johann, questo il nome del protagonista, si educa al fascino del linguaggio, apprende il piacere e i tormenti dell'amicizia e dell'amore, scopre infine, mediante il contatto con i grandi autori della tradizione tedesca, la capacità di attrazione esercitata dalla letteratura, avviandosi così alla sua vera vocazione. Tutto accade in un contesto palesemente provinciale, modellato secondo i registri tipici dell'idillio posto al riparo dai turbamenti della storia, eppure Walser riesce a sviluppare, in quest'ambientazione così circoscritta e tenendo costantemente al centro del discorso narrativo un personaggio dal raggio di azione sostanzialmente limitato, una ricostruzione articolata e molto suggestiva dei modelli ideologici sottesi all'affermazione del nazismo. Di più. La storia politica e sociale del dodicennio hitleriano trova nella piccola comunità di Wasserburg tanto uno specchio fedele della sua degenerazione, quanto, dal punto di vista dell'autore, un potente correttivo basato sulla solidità del legame tra l'individuo e il patrimonio identitario raccolto nella tradizione del villaggio.
Una zampillante fontana (il titolo riprende un'espressione del Canto notturno dello Zarathustra di Nietzsche e intende celebrare la ricchezza inestinguibile del linguaggio, fonte di continuo rinnovamento per quanti si affidano alla sua fascinazione) si inserisce in quella tendenza a valutare i fatti della storia collettiva in un'ottica prepolitica fortemente condizionata dalla sensibilità e dal vissuto del soggetto, oltre che dal suo radicamento in una cultura comunitaria, che domina la narrativa di Walser al più tardi dal romanzo Die Verteidigung der Kindheit (La difesa dell'infanzia, 1991). Qui il protagonista compensava il proprio smarrimento di fronte alle vicende della storia tedesca dal dopoguerra in poi costruendo un complesso rituale di monumentalizzazione del passato retto sul primato dell'amata figura materna. Nel romanzo di Johann, invece, il trascorrere del tempo è riassorbito nel piacere dell'invenzione finzionale, la quale appare animata da una fiducia di fondo nella capacità degli individui di adattarsi metamorficamente alle insidie della storia, custodendo un residuo inattaccabile di autenticità identitaria.
Maurizio Pirro
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