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Woyzeck, soldato frustrato, stanco e vinto dalla vita. Woyzeck, compagno tradito di Marie, padre assente. Woyzeck, in balia dei superiori, di medici, imbonitori, della compagna stessa. Woyzeck, che porta in sé, in nuce, tutta sua la tragica storia. Woyzeck, schiacciato dagli eventi, appesantito, rallentato, immobilizzato fino all’esplosione della violenza. Woyzeck, che finalmente agisce. Woyzeck, disciplinato, obbediente. Folle. Woyzeck, che ha allucinazioni. Woyzeck, coi suoi frammenti di follia. La storia del soldato Woyzeck, senza un vero e proprio filo conduttore, ma con tante stazioni (come una via crucis) che ne evidenziano la surreale e tragica esistenza. La graduale rivelazione all’esterno della sua follia, già ampiamente maturata da tempo dentro di lui. Fino al culmine, con l’omicidio della sua compagna, madre di loro figlio, colpevole di averlo tradito con un ufficiale, in preda a voci e allucinazioni. Woyzeck percorre la strada della condannato, come se già avesse coscienza dell'ineluttabile tragico finale che lo aspetta. Come se non fosse veramente lui ad agire, ma si muovesse solo come ennesimo burattino di un mondo annichilito e privo di umanità. Un capolavoro da rivalutare e diffondere
Ci sono creature che nascono estranee alle cose e alla vita stessa, ospiti occasionali scivolati da uno strambo parto del caso e ai quali qualche Dio doloso avvelena di continuo il bicchiere. La loro sorte è drammatica, brevissima, consegnata ai margini di istanti sempre sbagliati, quelli in cui una luce insopportabile li stritola in una chiarezza che non tarda a farsi delirio. In pochi quadri scenici, stringenti e splendidi, ecco la parabola di un povero barbiere che per sopravvivere e cacciare in tasca qualche soldo si presta a fare da cavia umana; le sue sfortune di reietto, la sua insania, figlia dell'ingiustizia che governa il mondo, il suo candore segreto, magnifico, tutto si mescola in questo testo che restò incompiuto e che è certo specchio della vita di Buchner, un drammaturgo morto appena ragazzo. C'è un verdetto annodato all'anima di Woyzeck come una forca che deride ogni suo agire; Marie, la donna con cui vive, lo umilia di continuo, la società lo scansa come il peggiore dei ratti, attorno non sente che incomprensione e sfruttamento, gli inferi proprio lì, sul suo percorso, come tagliole su ogni passo tentato. Lo dirà lui stesso rispondendo un giorno a un Capitano che esalterà la virtù come grane valore da perseguire sempre: "«Sì, signor Capitano, la virtù. Solo che io non ci arrivo. Vede, signor Capitano, noi povera gente, che non ci ha la virtù…a uno capita così, la natura; ma se io fossi un signore e ci avessi un cappello e un orologio e un’anglaise e fossi capace di parlare bene, allora sì che sarei virtuoso. Dev'essere bello, signor Capitano, avere la virtù. Ma io sono un povero diavolo! Noi povera gente siamo disgraziati in questo mondo e in quell'altro...noi. Credo che se andiamo in cielo dobbiamo aiutare a fare i tuoni". Un vento d'assenza da tutto e tutti, ma che spedisce dritto dritto Woyzeck verso quello che il suo autore definisce: "un cielo talmente liscio che vien voglia di piantare un chiodo e impiccarsi". Testo sofferto, e necessario.
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