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Anno edizione: 2011
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Una cittadina del Mid-West raccontata attraverso le storie di alcuni suoi abitanti. Le loro doppie vite, normalissime e nevroticissime, sono diventate un modello descrittivo degli Stati Uniti che ha avuto infinite applicazioni nella letteratura e nel cinema.
«Anderson è stato il piú bravo a giocare con le parole come fossero pietre, o pezzi di roba da mangiare» – Charles Bukowski
«I personaggi di un libro come "Winesburg, Ohio", una volta trovati, ti accompagnano come un coro di voci. Ti parlano del loro luogo d'origine, come i viaggiatori che capita di incontrare in treno ti parlano del loro paese, ma bisogna avere anche la fortuna di imbattersi in qualcuno che te la sappia raccontare bene quella storia. Nello stile di Sherwood Anderson c'è la grande letteratura americana, c'è tutto quello che si ama del mestiere di scrivere. Conciso, neutrale agli eventi, sa come fare arrivare le luci e le ombre delle case, l'odore dei campi, il fieno tagliato, il profumo di pioggia, dell'erba da raccogliere. Le radici nella terra all'alba della modernità. Il suo stile maestro si concentra in quest'opera su uno dei soggetti che personalmente amo di più. La storia di un paese, di una comunità. È un argomento in cui è facile trovare del proprio, pure nel lontano fascino dell'America preindustriale, dove i più anziani ancora raccontano della guerra civile. È anzi un'America che viene da sentire più vicina, perché parte di tutte le civiltà contadine nel momento del passaggio che le estingue.» (dalla prefazione di Vinicio Capossela)
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Un libro assoluto, fuori di testa per la leggerezza con cui queste storie si incuneano nella tua coscienza e non ne escono più. Un ritmo, una dosatura e una maestria nelle parole sovrana e inimitabile. Oltretutto, un libro che non assomiglia a nessun altro (è questo il bello della letteratura). Capolavoro assoluto.
Winesburg, Ohio è una raccolta di racconti di Sherwood Anderson pubblicata nel 1919, prose che scritte fra il 1915 e 1916 erano già state pubblicare singolarmente su alcune riviste. Vi si narra delle vite di alcuni personaggi della cittadina di Winesburg sul finire del XIX secolo, con un filo conduttore che è rappresentato da George Willard, un giovane giornalista interessato alle vite solitarie di questi individui, secondo uno schema che, pur con le evidenti differenze, può essere assimilato alla famosa Antologia di Spoon River che all’epoca di stesura di questi racconti era già conosciuta grazie alla pubblicazione fra il 1914 e il 1915 su una nota rivista letteraria, il Reedy’s Mirror di Saint Louis. Tutti i soggetti hanno una doppia vita, del tutto normale e banale quella pubblica, ma nevrotica e caratterizzata da passioni incontrollabili quella privata, peculiarità che sono diventate l’emblema descrittivo degli Stati Uniti, con innumerevoli applicazioni in campo letterario e cinematografico. Per certi aspetti, quindi, il libro costituisce una pietra miliare della narrativa statunitense, rivelandosi precursore di opere successive di diversi romanzieri, fra i quali uno fra i miei preferiti, Kent Haruf. Se lo schema rappresenta una indubbia innovazione, l’originalità delle opere è pure ragguardevole, e trattandosi di racconti è pregevole averli raccordati con la figura del giornalista del locale quotidiano, che accompagna i lettori a far conoscenza con i personaggi di Winesburg. Da leggere.
L'insicuro del restare e l'insicuro dell'andarsene, la lotta di dentro "dell'animale giovane e caldo, che non sa pensare, contro la cosa che riflette e ricorda". Un fazzoletto di terra fra le cui pieghe si perdono attese e speranze, tristezze e illusioni, e dove il cuore di un ragazzo stenta nei suoi incontri fra solchi di certezza e tremore. Sotto la pensilina della stazione qualcuno lo aspetta per un saluto: c'è l'impiegata alle poste che gli tende la mano e c'è il più grande dormiglione del paese, che quel giorno però si è svegliato in orario. Il cuore è stretto ma è anche consapevole, perché George sa che quel posto è ed è stata la cosa più sana e bella della sua vita e insieme il vuoto da cui è dovuto fuggire, una presa romantica dove ancora vibra l'eco di una madre perduta e al tempo una volontà di sfidare se stesso, di conoscersi sotto altre volte, altri cieli, non si sa se migliori. Stava per trattenerlo l'amore di Helen, il sentirsi davvero amato, compreso, quel mistero bastevole che sazia e compie l'intero e che in una vita ormeggiata fra ombre sempre più spente finisce per diventare l'attracco che salva: "Per motivi che non avrebbero saputo spiegare, entrambi ebbero, da quelle sera silenziosa trascorsa insieme, la cosa di cui avevano bisogno. Uomo o ragazzo, donna o ragazza, avevano per un attimo afferrato il segreto della cosa che rende possibile la vita agli uomini e alle donne grandi di questo mondo". Ma vincerà la partenza. Siamo fra stanze di solitudine, un dentro via via cosciente di un destino già segnato (solo il racconto di Alice Hindman vale pagine indimenticabili). Ma Anderson maneggia la meraviglia del poco come l'assaggio che a volte sa colmare la carenza, "come uno che ha scoperto la dolcezza delle mele vizze". Questa la traccia stupenda che decide le sorti.
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