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Descrizione


L'attività di esplorazione e di ricerca di William Kentridge è dedicata agli anni in cui nascevano le macchine della contemporaneità: il cinema, il telegrafo, le radiazioni. L'artista diventa famoso negli anni Novanta per la tecnica da lui chiamata "disegno per proiezione", un disegno a carboncino cancellato, ridisegnato e filmato frame-by-frame. Il processo di trasformazione del disegno e la sua permanenza in forma di traccia diventano forme espressive privilegiate per esplorare memoria e oblio, colpa e pentimento.
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Dettagli

2014
6 febbraio 2014
128 p., ill. , Rilegato
9788874900978

Voce della critica

  Il processo della creazione in Kentridge è un viaggio magico che rende partecipe anche lo spettatore, in quanto ogni sua opera è una sequenza nel tempo che rivela, o finge di rivelare, per aumentarne la meraviglia, i suoi stessi meccanismi "in the making". Di questo sottile stratagemma il saggio di Valeria Burgio è perfettamente consapevole e l'autrice da buona semiologa tenta un'analisi puntando sulla grammatica profonda del lavoro dell'artista, che si rifà costantemente a quell'armamentario di tecniche e strumenti che un mondo a cavallo tra l'Otto e il Novecento ha inventato sostanzialmente con un unico scopo, la vera ossessione del momento: la misurazione del tempo, che in arte diventa la rappresentazione del movimento. E Kentridge non avrebbe potuto scegliere un momento più significativo sia per lo sviluppo delle arti da allora in poi, ma anche come punto di partenza di una sua poetica in aperto contrasto con la concezione del tempo che domina la quotidianità contemporanea. La liricità della poetica di Kentridge infatti mescola in un unico flusso mediatico molti elementi, dal tratto espressionista a carboncino degli esordi, ispirato alla durezza delle cronache di vita vissuta nel Sud Africa dell'Apartheid, alla sua tecnica di cancellazione che lascia un alone di sporco come se fosse su carta, alle sagome ottocentesche, alle ricerche oltre il percepibile, quali le cronofotografie di Jules Etienne Marey o i trucchi messi in campo dai montaggi magici di Meliès. Ma ciò che rende immediatamente affascinante il suo tentativo di riavvolgere il tempo è la sua capacità di reinventare quella meravigliosa illusione dai tempi rallentati e cadenzati fuori dal tempo, il gioco dell'oggetto che compare e scompare inventato da Meliès. Se all'epoca i fratelli Lumière erano concentrati sull'accreditamento di un nuovo linguaggio e delle sue capacità di "verità", un talento esuberante come Meliès non aveva bisogno di tali giustificazioni e giocava con un pubblico deliziato, ancora nella fase dell'innocenza. Qual è il senso oggi di una ricerca che tenta di ricostruire qualcosa della meraviglia di allora? A ben vedere, l'evoluzione del lavoro di Kentridge (che un po' alla volta aggiunge elemento su elemento, compresa la presenza umana, egli stesso che compare e scompare) va verso una macchina delle meraviglie, un teatro totalizzante che avvolge e coinvolge l'intera persona in un'esperienza che si sostituisce per un momento alla realtà, con una capacità di persuasione che il severo giudizio formalista di Rosalind Krauss non ha voluto assecondare. Se il luogo di fruizione delle opere di Kentridge è il black box, saletta cinematografica per eccellenza almeno da quando nel 1997 presentò a Documenta X di Catherine David due film, Felix in Exile e History of the Main Complaint, per placare le ortodossie nelle presentazioni seguenti del suo lavoro Kentridge accompagna le proiezioni con una presentazione di disegni preparatori, degli "stills", "pura forma" salvando così la faccia al sistema sempre più fragile dell'arte. Il Black Box, scrive Burgio, è come la caverna platonica sulla parete della quale si potrà veder sfilare l'umanità intera con il suo tragico fardello di sofferenze e di cianfrusaglie portate appresso. Shadow Procession tra le sue opere più poetiche realizzata con sagome umane ritagliate e dalle forme ibride, rovesciando la teoria della rappresentazione platonica, fa emergere direttamente dalle tenebre la sconvolgente realtà del mondo. È direttamente dallo spazio dell'inganno, da quelle ombre che si fingono forma, che scaturisce la rivelazione, l'emozione del riconoscimento, la dimensione della tragedia che ci sovrasta. La fascinazione con il teatro nell'opera di Kentridge cresce via via da Ubu Roi and the Truth Commission del 1997, dai connotati espressionisti, fino a raggiungere la dimensione dell'Opera Totale, in Il Rifiuto del Tempo (The Refusal of Time) presentato a Kassel nel 2012,forse il suo lavoro più completo e importante fino a oggi. La ridondanza dei cinque schermi su cui si proiettano frammenti di linguaggi diversi, dal disegno animato al muto, dal teatro delle ombre alla danza, si rifà ai pionieri del secolo passato, da Piscator a Vertov, ma nei contenuti l'opera concentra tutta la drammaticità del nostro tempo. È soltanto in questo riavvolgimento del nastro e nella risultante frantumazione di ogni tentativo di narrazione all'interno del potente flusso poetico di Kentridge, che possiamo sperare di aggrapparci a qualche frammento fuggevole di verità, fuori tempo massimo.   A. Detheridge    

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