Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - copertina
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - 2
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - copertina
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - 2
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 3 liste dei desideri
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito
Disponibilità in 5 giorni lavorativi
11,42 €
-15% 13,43 €
11,42 € 13,43 € -15%
Disp. in 5 gg lavorativi
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
11,42 € Spedizione gratuita
disponibilità in 5 giorni lavorativi disponibilità in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Bibliotecario
12,76 € + 1,99 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
11,42 € Spedizione gratuita
disponibilità in 5 giorni lavorativi disponibilità in 5 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Bibliotecario
12,76 € + 1,99 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - copertina
Wenders story. Il cinema, il viaggio, la musica, il mito - Roberto Lasagna,Giuseppe Gariazzo,Saverio Zumbo - 2

Dettagli

29 maggio 2002
264 p., ill. , Brossura
9788887011074

Voce della critica


recensione di Spagnoletti, G., L'Indice 1998, n. 3

"Up and down* per gli impervi sentieri del cinema postmodemo, l'opera di Wim Wenders, insieme a quella di pochissimi altri cineasti, deve essere considerata, almeno qui da noi, come una vera e propria pietra di paragone della considerazione critica. Cerchiamo di spiegarci. Non c'è dubbio che la fortuna del filmmaker tedesco ha conosciuto, a partire per lo meno da "Il cielo sopra Berlino" (1989), una decisa eclissi. I diffusi dubbi sulla produzione degli anni novanta (a chi non è piaciuto "Lisbon Story", a chi altro "I fratelli Skladanowsky" o "Fino alla fine del mondo", con nessuno, poi, che era convinto "in toto "del proprio giudizio, cercando, via via, delle giustificazioni critiche al sempre più esplicito e routinario tono oracolante dell'opera wendersiana) si sono improvvisamente condensati al Festival di Cannes 1997.
Per la prima volta, credo da sempre, un suo film, "The End of Violence", ha lasciato interdetti (per usare un eufemismo) persino il nucleo d'acciaio dei suoi "aficionados". Accorciato e rimontato dopo tale inusitata "débâcle", questo film impervio e spiazzante, che segna - esulando da qualunque giudizio di gusto - una svolta rispetto all'elegante ma un po' freddo manierismo del decennio novanta, dovrebbe uscire presto anche in Italia, provocando, pensiamo, tra il pubblico di tendenza molte discussioni. È probabile, comunque, che, anche a prescindere dal suo esito commerciale o critico, proprio con questo "End of Violence", tanto poco "à la page "(così come, viceversa, era tanto "trendy" e facile un certo passato wendersismo che si cullava, compiaciuto, sugli allori dell'esibizione di stile), si inaugurerà una nuova fase del lavoro di Wenders, il quale, abbandonata la Germania, ha deciso di trasferirsi per la seconda volta negli Stati Uniti dopo la difficile avventura alla Zoetrope coppoliana di "Hammett", per andare a realizzare, in loco, cinema d'autore indipendente e a "low budget" (di cui "The" "End" "of Violence" è proprio il primo esempio). Questa svolta di non poco conto porterà, siamo facili profeti, a nuove valutazioni (anche retrospettive) sul lavoro del regista tedesco nonché ad attendere, con rinnovata curiosità, il prosieguo della sua carriera.
In attesa di ciò, intanto, sono usciti due volumi che ribadiscono l'incipit da cui siamo partiti: l'opera di Wenders, pur con i dubbi che ha provocato, continua a sollecitare, soprattutto in Italia, continui discorsi e riflessioni sul cinema. Il che non è un merito da poco, dovuto anche al semplice fatto che il filmmaker di Düsseldorff è uno dei pochi registi contemporanei, a parte Godard, ad accompagnare la prassi filmica con un'acuta e costante riflessione sul medium (sia metacriticamente dall'interno dei suoi stessi film sia con interventi e saggi critici "esterni"). La lucidità con cui lo stesso autore offre, in interviste e interventi, molte chiavi di lettura non solo su se stesso ma anche sul cinema "tout court", lungi da scoraggiare la riflessione, sembra invece esaltarla, anche se si ha l'impressione che le analisi sullo "sguardo fenomenologico" siano arrivate un po' al capolinea della saturazione. Bisogna dare atto, invece, a Maurizio Russo di aver tentato nel suo agile volume pubblicato dalle operosissime Mani genovesi ("Wim Wenders", sottotitolo importante e distintivo: "Percezione visiva e conoscenza)" un inusitato approccio "extra moenia". Di formazione sociologica, Russo vuole costruire - sostanzialmente sulla scorta di due volumi ("L'arte di vedere "di Aldous Huxley e "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" di Thomas Kuhn) - un parallelismo interdisciplinare con il mondo cinematografico di Wenders, letto appunto tramite i concetti-guida di visione e cambiamento illuminati dai due citati libri. Il richiamo a questi testi scientifici, che ben chiariscono e mettono a fuoco il problema della formazione e della trasformazione della conoscenza e le sue implicazioni fisiologiche, di sicuro è affascinante, ma ha, a nostro avviso, il difetto di ipostatizzare troppo il discorso.
Così come lo presenta l'autore, il cinema di Wenders (e la sua riflessione mediatica) sarebbe quasi da equiparare a una teoria scientifica, senza quindi sfaccettature interne né una propria evoluzione interiore, insomma si tratterebbe di un sistema chiuso nato e dato una volta per tutte e non di un prodotto estetico polisemico. Il rischio - tutto platonico (e l'autore richiama il celeberrimo mito della caverna dalla "Repubblica", per introdurre il capitolo finale sull'"arte di narrare") - è quello, allora, di leggere l'opera di Wenders come un'Idea e non come un processo di ricerca, differenziato, lento e niente affatto lineare, che lo ha portato all'elaborazione di un determinato stile (e anche a "rotture epistemologiche", come nel caso di "The End of Violence"). Anche se è vero che un autore fa sempre e costantemente per tutta la carriera un solo film, è altrettanto vero che esiste una certa differenza tra il primo Wenders tedesco e quello successivo, tra le sue più o meno fortunate incursioni americane e i film più esplicitamente europei, ecc.
Viceversa, proprio sulle differenze e sull'approfondimento puntuale, opera il libro collettaneo "Wenders Story". "Il cinema, il mito", che, con esiti molto discontinui, vuole ripercorrere, in un caleidoscopio di interventi, l'articolato corpus filmico wendersiano. L'impresa, vista la non piccola mole di precedenti ricerche a riguardo, suona molto ambiziosa e solo a tratti gli autori tengono fede alle generose promesse della collana "Falsopiano/Cinema", quella cioè di offrire "letture originali e innovative". Il che accade, ad esempio, quando si mette per un attimo tra parentesi le strettoie di una scrittura religiosamente ultracinefila - costruita ad esempio sui ragionamenti all'insegna del mitico "non a caso..." - per affrontare, senza pregiudizi e con cuore sincero, il senso complessivo dell'avventura cinematografica di Wenders. Di cui, così, si riesce ad acchiappare la scabra complessità.

Leggi di più Leggi di meno
Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore