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W o il ricordo d'infanzia di Georges Perec è un libro che s'infiltra nel lettore, ne prende possesso e lo devasta. È un ordigno letterario dal meccanismo elementare e misterioso, un oggetto solido e impossibile. Il primo capitolo comincia come un racconto d'avventure: la storia di un tale che, avendo disertato dall'esercito, vive all'estero sotto falso nome; lì, in una città vagamente germanica, viene convocato da un personaggio che lo ricatterà costringendolo a intraprendere la ricerca di un bambino di otto anni, autistico e sordomuto, figlio di una cantante lirica e naufragato con sua madre nell'Oceano Pacifico, tra gli isolotti della Terra del Fuoco. Il bambino disperso è il vero titolare del nome di copertura - Gaspard Winckler - che un'organizzazione misteriosa ha fornito al disertore.
Il secondo capitolo comincia con una frase brevissima, "Non ho ricordi d'infanzia". Di colpo è cambiato tutto: qui è Perec in persona a raccontare la propria infanzia partendo da quella dichiarazione amara e violenta che, dice lui, gli era servita per nascondersi e difendersi: dalla propria storia e da "un'altra storia, la grande storia, quella con la s di 'scure'". Se si è deciso a scrivere W è per narrare la storia di quella storia: di come, ragazzino tra gli undici e i tredici anni, avesse inventato un'isola abitata da un popolo dedito unicamente allo sport. Di come avesse disegnato quell'isola olimpica, le sue città, i suoi atleti, e di come ne organizzasse le competizioni passando interi pomeriggi a elencare nomi, classifiche, primati.
A questo punto il lettore potrà tornare alle frasi stampate nella bandella del libro: "Georges Perec nacque a Parigi il 7 marzo 1936. I genitori, ebrei polacchi, morirono durante la Seconda guerra mondiale: il padre al fronte nel 1940, la madre deportata ad Auschwitz nel 1943". W è anche la storia di un bambino che non conserva nessun ricordo dei suoi genitori, e che per sapere qualcosa di loro e di se stesso deve affidarsi a tre o quattro fotografie o alla memoria degli zii materni, i quali dopo averlo protetto e nascosto durante la guerra lo hanno preso a vivere con loro.
W racconta dunque due storie, per buona parte invisibili o cancellate. Ma in realtà la storia è una: quella dei ricordi di Perec bambino e poi ragazzino, e quella delle sue fantasie e dei suoi pensieri, da bambino e poi adulto. Perec vuole sapere la fine di sua madre: dov'è andata, come è morta, e chi è lui stesso con queste morti che gli occupano la vita. Non essendo sicuro di esistere né di null'altro, per esistere almeno un poco deve ricostruire quella morte. E così fa: lo fa letteralmente, costruendola come un gioco di pazienza e di paura. Il suo libro procede a capitoli alterni: in quelli dispari racconta la preparazione per la ricerca del piccolo naufrago, in quelli pari la sua prima infanzia senza ricordi. Il punto in cui le due storie separate potrebbero unirsi è una pagina bianca con tre puntini sospensivi chiusi tra parentesi tonde. Lì avrebbe dovuto incominciare un capitolo di memoria: il viaggio di sua madre verso Auschwitz, la sua scomparsa. Ma di quel naufragio nella morte non si può sapere niente e niente c'è da scrivere.
Oltre la pagina bianca troviamo un nuovo capitolo di fantasia; ma la scena è cambiata, e ormai il libro è un altro libro. Ci troviamo ora in un isolotto della Terra del Fuoco, chiamato W: lo stesso isolotto olimpico inventato da Perec ragazzino. Con voce pacata un narratore anonimo prende a descriverne le colline, le baie e le rocce, i corsi d'acqua, la vegetazione, i quattro villaggi che vi sorgono. È una voce più distante e più neutra rispetto a quella che descriverà le centinaia di storie, di oggetti e di ambienti che si accumulano e s'intrecciano in La vita istruzioni per l'uso ; manca, qui in W , quel soffio vocale ossessivo e balsamico. W è abitato da un popolo di sportivi; non s'incontrano persone ma solo cognomi, cognomi nordici: Gustafson, Müller, Lewis, Schollaert, Andrews, Kekkonen.
Nella seconda parte di W i capitoli di memoria descrivono la vita di Georges, che aveva allora sette anni, dopo la scomparsa di sua madre. Ora i ricordi esistono; e sono pagine dove ogni parola scritta è stata un tormento per chi l'ha messa in carta. Perec è uno scrittore tra i più divertenti e amabili che si possano incontrare. Sono proverbiali la sua vocazione al gioco e alla letteratura combinatoria e funambolica, il sodalizio con Queneau e con l'Oulipo. Ma è anche uno degli scrittori più soli che si conoscano, solo almeno quanto Kafka. Kafka è completamente solo e lo sa bene, però in qualche modo abbiamo l'impressione che si basti. Ci spalanca l'universo di una solitudine che sbigottisce: ma lui ci abita, lo abita. Perec non abita da nessuna parte; forse per questo voleva scrivere un libro dove avrebbe raccolto le descrizioni di tutte le camere dove aveva dormito, anche una sola notte: per convincersi di aver abitato.
Perec non si basta; è un inconsolabile e un irraggiungibile. Il suo ritmo è una musica di cose inarrivabili, leggera e carezzevole e infinitamente triste, che ispira un'enorme vitalità oltre a un'enorme nostalgia. È la musica della fame di vita. W è un libro che tortura: nel leggerlo il lettore avverte la tortura che è costato a chi lo ha scritto. Spostarsi a ogni nuovo capitolo dall'una all'altra storia, dall'isolotto sportivo ai ricordi d'infanzia, produce una specie di squartamento. E le due storie, pur non avendo nulla a che vedere l'una con l'altra, sono la stessa identica storia. I ricordi sono la vita senza i genitori e senza se stessi. Il racconto olimpico narra la ricerca di ciò che manca, di ciò che s'ignora. Perec vuole sapere che fine ha fatto sua madre. Era anche lui una vittima di Auschwitz pur non essendo stato ad Auschwitz. Non è un testimone, non sa com'è fatto un lager.
Nei capitoli olimpici di W , Perec costruisce un lager di fantasia. Lo va assemblando capitolo dopo capitolo. Al principio, quando comincia la storia dell'isolotto, quando ascoltiamo la voce del narratore, ci illudiamo di essere capitati in un mondo ideale; non desideriamo viverci ma abbiamo l'impressione della tregua dopo il naufragio. Poi, prima lentamente, per segni staccati e ambigui, poi sempre più in fretta, il quadro cambia e s'incrina, il regolamento olimpico mostra le sue durezze e via via, a perdifiato, i suoi arbitri, le prepotenze, le storture, gli orrori.
W è abitata da due razze, padroni e schiavi. Gli organizzatori delle gare, gli arbitri, i cronometristi, sono i padroni; gli atleti, gli schiavi. I regolamenti sono congegnati in modo da permettere, anzi favorire l'arbitrio più assoluto. Leggere, negli ultimi capitoli, le procedure secondo le quali vengono applicati, fa male e fa rabbia. L'isola di W non è che un lager, un lager dal funzionamento impeccabile: partendo dal ricordo delle fantasie sportive coltivate da ragazzo, Perec ha assemblato nella propria mente un lager fondato sullo sport. Ha costruito il luogo dove sua madre è stata uccisa e lo ha esplorato fino in fondo. Ha trovato un nome e un posto dove abitare.
Ho elencato solo alcune delle ragioni per le quali W è un libro unico e memorabile, sia nel genere autobiografico che nella cosiddetta letteratura concentrazionaria. Credo che nella sua forma ritorta, spaccata e orfana, sia il vero capolavoro di Perec: il quale impiegò oltre cinque anni a scriverlo, dal 1969 al 1974, e non per difficoltà strutturali o combinatorie. Oggi, dopo una prima edizione italiana (Rizzoli, 1991) passata quasi inosservata, lo pubblica Einaudi. La traduzione è bella, una musica fluente eseguita a denti stretti; ma è firmata, chissà perché, con uno pseudonimo: Henri Cinoc, nome di un personaggio in La vita istruzioni per l'uso . Già, La vita istruzioni per l'uso : è un titolo che dopo la lettura di W potremo capire in tutta la sua ironia, nella sua voracità disperata e nella sua delicatezza impossibile.
Domenico Scarpa
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