Quanti modi ci sono per raccontare una città? A Berlino, nel 1920, debuttò Girotondo di Arthur Schnitzler. Lo sviluppo dell'opera è noto: dieci personaggi s'incontrano, due alla volta, in dieci scene successive, e il loro dialogo culmina sempre con un atto sessuale. Uno dei due personaggi ritorna nella scena seguente in una catena circolare, il girotondo annunciato che, di incontro in incontro, riporta al punto di partenza. Nella sua ultima opera, Mario Fortunato ci offre qualcosa di simile: dieci capitoli, con un prologo e un epilogo, per una storia lunga un intero secolo, in un filo in cui i personaggi sono legati l'uno all'altro, di capitolo in capitolo. Anche qui il sesso svolge un ruolo importante, ma saliente è soprattutto l'ambiente in cui tutto accade: la capitale tedesca. "Nel frattempo, Berlino è diventata nuovamente capitale" scrive Fortunato nell'epilogo, come a sancire la circolarità della storia. "Non che rappresenti una garanzia: in definitiva, è stata capitale di una monarchia che se l'è squagliata dopo la guerra del '15-18, di una repubblica democratica ma litigiosa e votata al fallimento, e poi di due dittature, una sanguinaria e l'altra paranoica. Non ci vuole molto a capire perché sia tanto ossessionata dalla memoria. Basta una semplice distrazione e le conseguenze possono essere disastrose per un intero continente". Fortunato offre a un lettore curioso il romanzo di Berlino. Usa protagonisti presi dalla realtà, a partire da se stesso, per passare ad alcuni artefici della letteratura del Novecento, o all'uomo che provocò nel 1933 l'incendio del Reichstag. Li sceglie con dovizia dal proprio mondo di riferimento, culturale e sentimentale. Ich bin ein Berliner, ricorda lo scrittore, nato in Calabria ma ormai trapiantato in buona parte proprio nella città un tempo divisa dal muro. Ed è evidente che nomen omen, perché egli è stato fortunato se, sfuggendo a ogni sorta di campanilismo, agli angusti e deprimenti confini di un atavico pregiudizio, si è ritrovato berlinese, entrando in contatto con questa città faro, in compagnia degli autori e della storia che ci racconta in queste pagine. Più vicino a Elias Canetti quando illumina Marrakech che a Peter Ackroyd riguardo a Londra, Fortunato non intende costruire una biografia di Berlino. Vuole far ascoltare piuttosto le voci, alcune voci, che hanno risuonato nella città, negli anni compresi tra il 1929 e il 2011. Sceglie una serie di episodi, di protagonisti, evidentemente quelli che gli sono più cari, quelli più prossimi alle sue corde di scrittore, e li presenta, li fa muovere e giocare tra loro. In un'opera colta, dettagliata, documentata, ricca al contempo di sfumature, di carattere, anche insinuante e un po' pettegola. È la storia di una passione. "Una città, specie se sconosciuta, è una foresta di specchi", scrive Fortunato. Naturalmente gli specchi si trovano quando si è disposti a mettersi in gioco, a cogliere un'offerta e a farla propria. Perché, se di specchi si tratta, quello che l'autore cerca, e scopre, è la propria immagine, fatta di gusti e interessi privati, di sentimenti. Fatta, procedendo nella scoperta, di emozioni. L'autore ci conduce in un percorso avvolgente, per lui e per il lettore, dove un posto d'onore, è bene sottolinearlo, spetta al sesso, all'omosessualità. Fortunato lo rivela sin dall'inizio, con la sua prima visita in una Berlino ancora deturpata dal muro, divisa senza alcuna pietà in un di qua e in un di là, in un giusto e in uno sbagliato. Fortunato vi arriva in preda a una grave crisi personale, e si trova subito catapultato oltre la cortina, per vivervi una storia d'amore forte e sfuggente. "All'incirca un secolo fa", è lo splendido incipit, "una sera di ottobre, il termometro stazionava sotto lo zero e anch'io mi trovavo da quelle parti". E non è un caso se, di sesso in sesso, di scrittura in scrittura, il capitolo successivo sia subito dedicato a un autore di culto, a Christopher Isherwood, che insieme all'amico e sommo poeta Wystan Auden, poté conoscere la mirabolante offerta di Berlino a cavallo delle guerre, un'offerta fatta di cultura, sesso e divertimento. La città del Bauhaus, di Brecht, di Weill, dei grandissimi direttori d'orchestra, e dei tantissimi teatri. La città dove, ci spiega Fortunato, c'erano oltre centotrenta caffè per omosessuali, e che Auden arrivò a definire il "sogno di ogni sodomita". Da lì al nazismo, vissuto attraverso i figli di Thomas Mann, Klaus ed Erika, poi la distruzione, la divisione, il muro. E, quasi ai nostri giorni, la caduta di quell'orrenda barriera e la città nuova, internazionale come poche, attenta, attentissima alla memoria. La cavalcata si chiude ancora lì, come si è detto, mentre la capitale che si autocelebra, ripercorre la propria storia senza alcuna riserva, mettendo in mostra il sublime e l'orrore, come solo i tedeschi sanno fare, seguendo una logica in divenire che Fortunato sottolinea attraverso una frase dello storico dell'arte Karl Scheffler: "Berlino è una città condannata per sempre a diventare e mai a essere". Fabrizio Pasanisi